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domenica 28 giugno 2015

Una storia infinita

Maruška e il signor Lederer
Mi succede sempre così. Vado ad incontrare una persona, a Pilsen/Plzeň e nei dintorni, per conoscerla, parlare con lei e raccontare dei suoi progetti. Di solito vengo a sapere delle cose interessanti che poi uso nei miei post. Ma quasi sempre, da un incontro o una conervazione, nasce un altro argomento.

Un mio autoritratto "celato"
 
Un giorno, la mia amica ceca Lenka mi aveva consigliato di andare a Mešno. Il villaggio di neppure cento abitanti si trova a circa 20 chilometri a sudest di Pilsen/Plzeň, a metà strada tra Mirošov, di cui racconterò in un altro post, e la cittadina barocca di Spálené Poříčí, dove tra pochi giorni si terrà l'apertura simbolica del grandioso festival "9 TÝDNŮ BAROKA/9 SETTIMANE BAROCCO" (durerà dal 29 giugno al 30 agosto). Lenka aggiunse che una donna del paese aveva messo insieme un piccolo museo etnografico, su iniziativa propria e con le proprie forze.

Arrivata in paese mi misi a cercare Marie Musilová. Senza difficoltà perché in un piccolo villaggio si conoscono tutti. Maruška? Abita laggiù, nella casa gialla-blu vicino alla chiesa. Intanto vorrei visitare la Kostel Nejsvětější Trojice, la chiesa della Trinità ricostruita 110 anni fa in stile neogotico dopo che un incendio aveva distrutto la precedente cappella barocca. Ma la chiesa è chiusa. Come quasi sempre in Repubblica Ceca. E Marie-Maruška, che nel frattempo è arrivata, si vergogna per gli scalini sporchi, coperti di foglie, attorno alla chiesa.
Marie Musilová sulla porta del vecchio granaio
A casa sua è un'altra cosa. Nel bel giardino davanti all'abitazione vi sono dei curati pannelli che invitano alla visita del Mešenský špejchárek, del piccolo granaio di Mešno, costruito con travi di legno imbrunite dal tempo. Apre una porta – "ha 300 anni, come il granaio" – e mi mostra orgogliosa gli oggetti messi insieme: tazze e bottiglie, piatti, padelle e posate, brocche e bacinelle, pentole di ceramica e di smalto, macinini per il caffè, grattugie, ferri da stiro e vasi da notte, ricami e lavori all'uncinetto, immagini sacre, crocifissi e tante altre cose. Trovate presso le famiglie del paese e raccolte qui nel granaio che è stato restaurato da lei e dalla sua famiglia in mesi di lavoro.
 
Vecchie travi del granaio


Davanti al granaio mi fa notare una foto in una cornice di legno. Una freccia indica una bambina: "Maruška", sua madre nata nel 1921. Sulla fotografia dovrebbe avere sui sei anni, dunque  è stata scattata attorno al 1927. Da un lato di Maruška sta l'allora parroco di Mešno, dall'altro Richard Lederer. Possedeva una bottega di generi misti, un commerciante laborioso, amato e apprezzato nel paese. Però improvvisamente, verso l'inizio degli Anni quaranta, non poté più vendere stoffe e calze e detersivi e droghe. Non glielo permisero più. Perché era ebreo. E dopo la Seconda Guerra Mondiale non ritornò più da Auschwitz.

Richard Lederer, Maruška e il parroco di Mešno in una fotografia scattata attorno al 1927
Nella casa di abitazione, pure vecchia e sistemata con cura, Marie Musilová mi mostra l'originale della foto con sua madre Maruška, il prete cristiano e il commerciante ebraico. Anche lei sembra molto presa da questa storia.
Senza volere, qui a Pilsen/Plzeň e nei dintorni non riesco a distogliermi da alcune tematiche: l'espulsione dei Tedeschi, la non-accettazione dei Rom e la persecuzione degli Ebrei. Solo nella città di Pilsen/Plzeň, nel gennaio del 1942 furono deportati circa 2600 ebrei, che erano parte integrante della vita sociale, economica e culturale della città. Furono trasportati in campi di concentramento nazisti. E solo pochi sopravvissero. La stessa tragica sorte toccò a molti altri concittadini ebraici che vivevano nelle città e nei villaggi della regione. Tra di loro anche Richard Lederer di Mešno. Un singolo caso di questo genocidio risulta  più toccante e più sconvolgente di mille numeri.


giovedì 16 aprile 2015

Pietre tombali e ciottoli di saluto

 
Nel cimitero ebraico di Spálené Poříčí


Un cimitero ebraico

Durante il mio soggiorno a Pilsen/Plzeň voglio raccontare di tre minoranze: di Tedeschi, di Rom e di Ebrei. Nei miei blog precedenti ho già accennato ai Tedeschi di Pilsen/Plzeň e ai Rom. Mancavano gli Ebrei. Dopo avere ottenuto, verso la metà dell'Ottocento, l'equiparazione dei diritti, alla fine del secolo erano diventati così ricchi e influenti da poter realizzare in città una costruzione gigantesca: la Grande Sinagoga con una vistosa facciata a due campanili che, nel suo stile moresco, appare estraneo al contesto urbanistico-architettonico del centro storico. Avrei voluto visitarla in questi giorni, ma in compagnia del mio cagnolino non mi hanno lasciata entrare. Logico.

Avevo però letto del cimitero ebraico di Spálené Poříč, una cittadina a sudest di Pilsen/Plzeň. La  giornata sapeva di primavera e invitava ad una gita fuori città. 

All'inizio della Guerra dei Trent'anni, le truppe imperiali, comandate dal feldmaresciallo Charles Bonaventure de Longueval, Comte de Bucquo, avevano riportato nella battaglia della Montagna bianca nei pressi di Praga una schiacciante vittoria sull'esercito protestante, tanto che l'imperatore Ferdinando II concesse loro ricchi possedimenti e il diritto di predare e di distruggere dovunque passassero. E ne approfittarono. Anche nella località boema di Poříčí che, in seguito, venne ribattezzata in Spálené Poříčí, la "Poříčí bruciata".

Nella ricostruzione della cittadina ebbero un ruolo importante anche gli Ebrei. Loro, gli emarginati e reietti, erano i benvenuti per dare nuova vita alla cittadina rasa al suolo. Ne vennero così tanti, soprattutto artigiani e commercianti, che la comunità ebraica poté presto iniziare la costruzione di una sinagoga. E dal 1670 ebbe diritto anche ad un proprio cimitero.

Oggi, gli abitanti di Spálené Poříčí sono orgogliosi del cimitero ebraico. Lo è anche Václav, un uomo gentile e sorridente che, seduto in trattoria, aveva compreso la nostra difficoltà nel decifrare il menu del giorno. Così ce lo aveva tradotto, con qualche parola in tedesco e tanti gesti, descrivendo alcuni piatti e sottolineando i loro prezzi: 80 corone ceche (meno di 3 euro) gli dovevano sembrare tante per una pietanza di carne. Rifiutò la nostra offerta di pagargli la birra, una bella, schiumosa birra da un litro. Erano "affari suoi" ci disse e ci accompagnò verso lo židovský hřibitov al margine dell'abitato. Forse 150, 200 pietre tombali in un rettangolo recintato, sistemate senza un apparente ordine e inclinate per l'età, coperte da segni e scritte incomprensibili ai più.

L'ultimo funerale ebraico vi si era tenuto nel 1937. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale erano rimasti solo pochi ebrei a Spálené Poříčí, otto uomini, poi uccisi nei campi di concentramento, e due donne che, sopravvissute alle persecuzioni, emigrarano appena terminata la guerra. Nel 1946 fu demolita la sinagoga. Non serviva più a nessuno. Il cimitero, però, viene visitato ancora oggi. E non solo da turisti alla ricerca di suggestivi soggetti fotografici come lo sono le vecchie pietre tombali. Sicuramente tra i visitatori, in tempi recenti, vi sono stati anche degli Ebrei. Chi altro se non loro avrebbe depositato i ciottoli in cima alle pietre tombali? Ciottoli chiamati dofek in ebraico, "pietre che bussano". Un saluto per i morti? Il ricordo di un lontano passato quando il popolo di Israele viveva (e moriva) nel deserto e proteggeva le sue tombe con mucchi di sassi da profanatori, uomini o bestie che fossero? O semplicemente un ornamento della tomba: pietre che durano nel tempo invece di fiori che appassiscono? Anche se gli storici si interrogano su origine e significato di questa usanza, cercano di trovare spiegazioni razionali – i dofek posti sulle tombe rimangono misteriosi e di fascino magico.


Vecchie pietre tombali al cimitero ebraico di Spálené Poříčí