venerdì 29 maggio 2015

La città come luogo di mostre

Budelíp – Migliorerà
Durante il vernissage della mostra, su una panchina nei giardini della Náměstí Emila Škody, la Piazza Emil Škoda a Pilsen/Plzeň, stavano seduti due senzatetto. Chissà se si sentivano presi in giro dai mini-container per le immondizie, tinteggiati in un bell'azzurro e dotati da un piccolò oblò? O forse comprendevano l'ironia critica e amara che gli studenti di design rivolgevano al sistema sociale ceco? Non sono tanto sicura se il movimento attorno a loro li interessasse. Per loro era più importante poter bere qualche cosa al buffet senza che nessuno li cacciasse o li discriminasse. Ma i presenti erano abbastanza intelligenti e toleranti per non farli sentire degli emarginati.

La mostra dall'eloquente titolo Budelíp ("Migliorerà") fa parte di un progetto, ideato dall'architetto ceco Rostislav Koryčánek, durante il quale alcune piazze e luoghi pubblici cittadini verranno dotati di opere d'arte per trasformarli sotto il punto di vista qualitativo e dar loro un'impronta più umana. Qui sulla Piazza Emil Škoda – che, da quando la fabbrica della Škoda ha registrata una forte crisi, ha perso la sua funzione di punto di arrivo e di partenza quotidiano di migliaia di operai  – ha avuto luogo il terzo dei sette eventi del progetto. Jiří Beránek, Benedikt Tolar e gli studenti della facoltà di arte e design dell'Università di Pilsen/Plzeň hanno trattato il tema dei senzatetto – un problema che in Repubblica Ceca attende una soluzione da parte dello Stato.

Bambini giocano in un mini-rifugio per senzatetto
Non ci sono rifugi per i senzatetto? Allora glieli costruiamo noi, si sono detto gli studenti.  Con quei mini-container da abitare, sconcertanti e dalla critica feroce, volevano dare lo spunto per una riflessione sull'emarginazione sociale dei senzatetto (e non solo di loro) e – come recita il folder della mostra  – "l'instabile soglia tra la certezza del proprio abitare e la non-certezza del vivere in strada".

Campane in ceramica, sullo sfondo le fabbriche Škoda

Il sottopassaggio dalla piazza alle fabbriche Škoda

Dipinti e graffiti nel sottopassaggio
 
La mostra "Migliorerà" comprende anche una composizione di piccole campane in ceramica, dei corpi nudi e deformi di donna dipinti sulle pareti del sottopassaggio pedonale alquanto sporco e malandato e alcune file di patate che avrebbero dovuto fiorire al momento dell'inaugurazione. Ma non era così. Forse che i Cechi, dopo decenni di economia collettiva durante l'era socialista, non si sono ancora aggiornati nel campo dell'agricoltura?

La mostra mi è piaciuta molto. Tra un mese verrà presentato il prossimo evento. Lo attendo con grande interesse perché si svolgerà sotto il ponte del Millennium lungo la Radbuza. Che è il mio fiume preferito qui a Pilsen/Plzeň.
 

Qui di seguito, in aggiunta alle foto di sopra, ancora alcune immagini dei muri perimetrali delle fabbriche Škoda.




giovedì 28 maggio 2015

Vicinato bavarese-boemo

Alberi da frutta: silenziosi testimoni
Frontiera? Hranice? Esiste solo nella testa dei politici e nelle carte geografiche. Lo pensa anche Thomas Englberger. E' reduce dal Sudetendeutscher Tag (l'annuale raduno dei Tedeschi dei Sudeti) ad Augusta e racconta con entusiasmo della nuova linea, espressa durante l'assemblea e propensa alla riconciliazione con i Cechi. E' venuto fino a Pilsen/Plzeň. Io, durante il mio ultimo viaggio dall'Italia, avevo fatto sosta a Speinshart, un convento di Padri Premonstratensi con annesso ristorante-albergo. Un luogo magico. Stimolante per lo spirito, rasserenante per l'anima (e ultimamente ne ho tanto bisogno) e rilassante per il corpo.
Thomas Englberger del Centro internazionale d'Incontro presso il convento di Speinshart, qui a Pilsen/Plzeň tra la fontana del Cammello e la cattedrale
Thomas Englberger è il responsabile del Centro internazionale d'Incontro del convento di  Speinshart nell'Alto Palatinato, in linea d'aria nemmeno 40 chilometri dalla frontiera tedesco-ceca (dunque frontiera?). Assieme a Padre Lukas Prosch elabora il programma culturale, un programma sempre più ricco di concerti, mostre e presentazioni di libri che fa del convento dei Premonstratensi un centro spirituale e culturale della zona. Cultura a livello internazionale, ma con uno sguardo particolare al vicinato bavarese-boemo. Qui espongono anche artisti cechi, qui si esibiscono anche musicisti cechi. E poiché il monastero – rifondato nel 1921 dall'abbazia di Tepl/Tepla, allora tedesca, oggi situata nella Boemia occidentale ceca – non è stato toccato direttamente dall'espulsione dei Tedeschi, può trattare delle tematiche anche delicate e scottanti in modo obiettivo e approfondito.
Il convento dei Padri Premonstratensi di Speinshart, a destra Padre Lukas
(Foto: Archivio Convento di Speinshart)

Thomas Englberger racconta con entusiasmo di una camminata fatta qualche tempo fa tra il convento premonstratense di Speinshart in Germania e il convento premonstratense di Tepl/Tepla in Repubblica Ceca. Cento chilometri attraverso un paesaggio che non rivela se gli abitanti parlano tedesco o ceco. Qua come là, aldiqua e aldilà (del confine!) le stesse dolci colline, gli stessi boschetti e arbusti e cespugli, gli stessi villaggi negli avvallamenti, gli stessi architetti – da citare in primo luogo i Dientzenhofer provenienti dalla Baviera – che hanno costruito qua come là sfarzose chiese barocche. Però una differenza c'è: solo in Boemia si trovano quegli immensi campi di colza che (un residuo dell'economia collettiva comunista) durante la fioritura in primavera lallegrano il cuore dei fotografi.
 
Campi di colza nella zona di Pilsen/Plzeň
E solo in Boemia si trovano quei villaggi disabitati, diroccati. Con cimiteri trascurati e pietre tombali inclinati e rovinati.
 
Un vecchio cimitero tedesco, qui a Luková
I partecipanti della camminata da convento a convento avevano poi notato in particolare una cosa: nei villaggi da dove gli abitanti tedeschi erano stati espulsi spesso non si trovavano più né case né muri. Però alberi sì. Alberi da frutta piantati dagli abitanti tedeschi di una volta. I Cechi, diventati i nuovi padroni, avevano riversato la propria ira distruttiva e la propria violenza contro case, chiese e tombe. Contro gli uomini. Ma non contro gli alberi. Gli alberi, muti testimoni di inumanità e tragedia. In molti luoghi nelle zone ad ovest di Pilsen/Plzeň sono stati demoliti i muri e cancellati dei villaggi. Ma spesso sono rimasti degli alberi da frutta, piantati in bell'ordine. „La natura ha una sua memoria“, commenta Thomas Englberger. E poi ritorna da Pilsen/Plzeň a Speinshart.

P.S.: Oggi mi sono fermata nuovamente nel cimitero ebraico di Pilsen/Plzeň. E' sempre una grande emozione per me. Su una delle pietre tombali trovo le parole V OSVĚTIMI ZAHYNULI 1944 (ASSASSINATI NEL 1944 AD AUSCHWITZ) e i nomi delle vittime. Nella loro essenzialità esprimono, più di tanti discorsi, tutta la tragedia del genocidio degli Ebrei.

martedì 26 maggio 2015

Bella città – brutta storia

Dobřany e il suo ospedale psichiatrico
Dobřany è una bella cittadina a circa 10 chilometri a sudovest da Pilsen/Plzeň. L'ampia piazza centrale come si addice alla Boemia è attorniata da case rinnovate con cura, nella chiesa barocca di San Vito un raro altare doppio ricco di figure, la chiesa di San Nicolò, pure barocca, nella Náměstí Masaryka è piena di credenti per la messa domenicale, un ponte gotico a tre arcate scavalca la Radbuza lungo la quale si opuò pescare, passeggiare e amoreggiare. E tutt'intorno prati fioriti e linde case unifamiliari con deliziosi giardini e orti.
Un vero idillio. Piaceva tanto anche ai Tedeschi che, legittimati dagli Accordi di Monaco conclusi alla fine di settembre del 1938, occuparono la cittadina nell'ottobre del 1938 per incorparlo al Reichsgau Sudetenland. Una cosa, tuttavia, non piaceva a loro: il nome tedesco di "Dobrizan" o "Dobrzan" suonava a loro troppo slavo. Probabilmente era un nome di origine slava. Così decisero di ribattezare la cittadina e di chiamarla "Wiesengrund", "Terra dei prati". Un nome veramente azzeccato.

Il gotico ponte in pietra sulla Radbuza a Dobřany
Questa immagine si addice perfettamente all'atmosfera spensierata che Pilsen/Plzeň, capitale della cultura 2015 vorrebbe esprimere. danza e teatro, arte e cultura in tutte le forme si avvicendano durante tutto l'anno. La città si è svegliata e richiama ospiti da tutta l'Europa.
 
Vladislav Žižka con un'arteterapeuta
Chissà se qualcuno dei visitatore giunge anche a Dobřany? La cittadina possiede un buon ristorante con propria birreria che produce serve una gustosa birra non pastorizzata. Chissà se i visitatori scorgono, leggermente discostata dalla piazza principale dedicata a Masaryk, anche l'indicazione stradale per la "Psychiatrická léčebna", la clinica psichiatrica? Il dottor Vladislav Žižka, direttore dell'ospedale, mi saluta con grande gentilezza, mi conduce in auto attraverso il parco, esteso su 43 dettari e costellato da parecchi padiglioni molto curati in cui vivono oggi circa 1200 pazienti.


Il parco dell'ospedale di Dobřany
Un elegante passaggio nella clinica di Dobřany
Ci vivevano oltre 2700 persone nel 1941 quando l'ospedale di Dobřany/Wiesengrund, allora la più clinica psichiatrica nella zona dei Sudeti, fu incluso nella cosìdetta "Aktion T4", il programma di eutanasia elaborato dal governo nazista appositamente per bambini e giovani con problemi psichiatrici. Nelle cronache del tempo si legge che la clinica di Dobřany/Wiesengrund, allora "la più moderna, più funzionale e più bella dell'Europa", possedeva un ampio parco, vasti terreni agricoli, prati, una stazione del treno e un proprio cimitero. La stazione veniva usata per il trasporto dei malati che, giunti dall'ospedale psichiatrico di Kosmonosy, situato nella Boemia centrale, presero il via ai campi di sterminio di Pirna-Sonnenstein in Sassonia e di Hartheim nell'Alta Austria. E nel cimitero furono sepelliti molti bambini e giovani vittime dell'"Aktion T4".

Tragedia nella tragedia: nell'aprile del 1943 l'ospedale di Dobřany fu bombardato da piloti delle forze alleate perché lo credettero la fabbrica della Škoda che produceva armi.

Leggendo le storie di ammalati raccolte nel volume "Die nationalsozialistische Euthanasie"* vengono i brividi. E da quando ho letto questo libro non posso più guardare con gli occhi disincantati del turista alla bella cittadina di Dobřany con la sua vasta piazza centrale, le chiese barocche, il ponte gotico sulla Radbuza, le linde case unifamiliarie i prati fioriti.

P.S.: Devo ringraziare il dottor Milan Novák, coautore del mio libro "Boemia andata e ritorno", per la informazioni sulla clinica psichiatrica di  Dobřany e l'invio del libro citato.

* Michal Šimúnek - Dietmar Schulze (a cura di), Die nationalsozialistische „Euthanasie“ im Reichsgau Sudetenland und Protektorat Böhmen und Mähren 1939-1945, Praha: Institute of Contempory History of the Academy of Sciences Prague 2008

domenica 24 maggio 2015

Dalla Bosnia alla Repubblica Ceca

Cultura del caffè nella città della birra
Ora li ho citati così tante volte che finalmente devo raccontare qualche cosa in più di loro: di "Goran" e del suo turek.

Goran è Goran Jozić e il suo turek è il migliore caffè turco che io abbia bevuto negli ultimi anni. Goran Jozić è un bosniaco di 46 anni che nel 1992, negli anni tragici della guerra in Bosnia, è venuto in Cecoslovacchia con la sorella 16enne. Scappati. La prima tappa è Chomutov, nel 1995 giunge a Pilsen/Plzeň. La città, appena uscita da 50 anni di dominio comunista, è triste e grigia, nelle domeniche non si vede anima viva. E c'è un'altra cosa che rattrista Goran: non si trova un buon caffè. Una mezza tragedia per un bosniaco: "Bere del caffè è lo sport nazionale bosniaco", spiega.
Il passaggio che porta al caffè di Goran.
Allora gli viene un'idea che con gli anni si rivelerà vincente: aprire un caffè, in un passaggio della piazza principale Náměstí Republiky. In una casa del Duecento, una delle case più antiche della piazza dove in passato si scambiavano i cavalli delle carrozze postali. E comincia a preparare dei caffè. Espresso italiano e caffè turco. In una dscheswe o cezve – in altre parole: in una di quelle brocchette di rame dal lungo manico, che si trovano in tutte le famiglie balcaniche, turche e arabe, si mettono da sei a nove grammi di caffè macinato finemente, la quantità giusta per un decilitro di acqua. Dapprima si aggiunge solo metà dell'acqua, la si porta ad ebollizione e la si toglie dal fuoco, poi si aggiunge l'altra metà dell'acqua e la si porta nuovamente ad ebollizione. Due volte se l'acqua è già calda (ma non più calda di 60 gradi, per favore!), tre volte se l'acqua è fredda. E poi bisogna portare un po' di pazienza. Bisogna aspettare almeno tre minuti prima che la polvere si sia depositata sul fondo della brocchetta. Poi si versa il caffè, lentamente, quasi fosse un rito, in una tazzina, lo si dolcifica con zucchero in dadi e lo si beve. Io gli confesso che bevo il turek appena servito perché mi piace il gusto della polvere del caffè, quel gusto dolce-amaro, in bocca. "Sì, i fondi di caffè fanno venire belle, diciamo noi in bosnia", aggiunge sorridente, con un tocco di galanteria.
Goran Jozić mentre tosta il caffè
Ma Goran Jozić non sa solo preparare il caffè. Insegna anche nella scuola alberghiera di Pilsen/Plzeň. Insegna la storia del caffè, la preparazione dei vari tipi di caffè – espresso, caffè turco, mokka, caffè francese –, quali recipienti usare e come bere il caffè. Una vera arte. Si ravviva mentre parla del suo lavoro che è una sua grande passione. Però di tanto in tanto si alza: "Chiedo scusa, ma devo stare attento che non si bruci." In una stanza accanto al piccolo, accogliente coffeehouse ha tutta l'attrezzatura per tostare il caffè che importa da tutto il mondo e di cui conosce tutti i segreti. "Senta che profumo", dice mentre mi fa annusare dei chicchi di caffè, "è caffè indiano, una specie particolarmente apprezzata."

Goran nel suo caffè, in primo piano un caffè turco 
Nel frattempo il mio turek si è raffreddato un po' e lo posso gustare. I clienti vanno e vengono, artisti, intellettuali, commercianti dei negozi vicini, amici. "Il caffè bisogna berlo con amici, con qualcuno che ci sta a cuore. Questi dieci, quindici minuti ce li dobbiamo regalare più volte al giorno, il più spesso possibile nella vita", riflette Goran. E aggiunge: "Il caffè è stimolante, è più puro della birra". E lui, l'esperto di caffè che vive in una città famosa per la birra, ne sa qualcosa.

www.orientcoffee.com

giovedì 21 maggio 2015

E ancora l'espulsione

Un gesto di riconciliazione
Ieri sera stavo per inserire un nuovo post nel mio blog – e questa volta qualche cosa di "godereccio": sul mio caffè preferito a Pilsen/Plzeň e la mia bevanda preferita (che non è la birra – mi perdonino gli abitanti della città –, bensì il caffè turco). Però mi giunse una notizia da Radio Praga (e raccomando a tutti quanti volessero essere informati sulle "cose boeme" attuali e del passato di fare un abonnamento alle notizie trasmesse quotidianamente da Radio Praga, purtroppo non in italiano: www.radio.cz) – notizia che mi lasciò metà contenta e metà costernata. Annette Kraus, una giornalista di Radio Praga che cura le trasmissioni in lingua tedesca e che mi aveva intervistato recentemente a Pilsen/Plzeň, vi riporta due fatti che si riferiscono all'espulsione dei Tedeschi dei Sudeti nel 1945 (tematica che ho trattato già più volte nei miei posts precedenti).

Molto gradita la prima notizia, subito ripresa anche dai media in lingua tedesca. Il consiglio comunale di Brno, presieduto dal sindaco Petr Vokřál, ha approvato una "dichiarazione per la riconciliazione e il futuro" in cui si deplora l'espulsione forzata degli ex concittadini di lingua tedesca. Questo atto si riferisce in pimo luogo alla "marcia della morte di Brno" della fine di maggio 1945. In quell'occasione – così riporta Radio Praga – "migliaia di persone, sulla base del principio della colpa collettiva e a causa della loro lingua, furono costrette a lasciare a piedi la loro città". Circa 2.000 delle 20.000 persone espulse morirono durante questa marcia durata alcuni giorni.

Scioccante, o perlomeno sorprendente, era per me – che cerco sempre di pensare positivo e conciliante – l'altra notizia: secondo una recente indagine svoltasi in Repubblica Ceca, il 70 percento dei Cechi considera l'espulsione dei Tedeschi come "inevitabile", il 61 percento la reputa addirittura "giustificata". Le violenze commesse durante l'esodo da parte dei Cechi vengono condannate dal 78 percento delle persone interpellate, ma due terzi della popolazione ritengono "non necessario" che i Cechi si scusino per le vicissitudini di allora. Le giovani generazioni, tuttavia, pensano che l'espulsione non sia accettabile e che se ne debba discutere.

Un rappresentante della nuova generazione che si occupa criticamente con l'espulsione è il più volte citato fotografo ceco 31enne Lukáš Houdek. Qui una sua fotografia esposta attualmente a Praga, in una mostra dal titolo "Odsun/Espulsione".


Un ringraziamento dunque al sindaco di Brno, Petr Vokřá, nella speranza che questo gesto di riconciliazione non gli costi dei voti alle prossime elezioni – come era invece successo due anni fa alle elezioni per il presidente della Repubblica Ceca.  Karel Schwarzenberg, il candidato più accreditato, perse il ballottaggio (anche) per le sue dichiarazioni in favore di riconciliazione e comprensione. Dalle elezioni uscì vincente Miloš Zeman, l'attuale presidente ceco, che aveva rivolto aspre critiche a Schwarzenberg proprio per la sua disponibilità alla pacificazione.


www.radio.cz
E-Mail: cr@radio.cz

mercoledì 20 maggio 2015

A ricordo di un grande uomo

Havel’s Place a Pilsen/Plzeň

Sono veramente invitanti quelle due poltroncine in legno con i braccioli in ferro che si trovano nel parco della Šafaříkovy sady a Pilsen/Plzeň. E accanto un  tavolino rotondo, pure in legno, giusto per porvi un boccale di birra. Václav Havel, certamente, non avrebbe avuto niente in contrario. Václav Havel, lo scrittore e presidente della Repubblica amato e venerato da tutti i Cechi? Cosa c'entra lui con questi mobili da giardino, disposti qui al margine del centro storico di Pilsen/Plzeň? In questo parco ben curato che è un ritrovo di drogati ben noto in città?
"Havel's Place" a Pilsen/Plzeň
In realtà si tratta di un'installazione, ideata dall'architetto ceco Bořek Sípek per onorare la memoria di Havel: Lavička Václava Havla la chiamano i Cechi, il "posto di Václav Havel". Il primo "Havel's Place" era stato realizzato nell'ottobre del 2013 a Washington e l'esempio americano fu seguito presto da alcune città europee: da Dublino nel dicembre 2013, da Barcellona nel febbraio 2014, da Praga nel maggio 2014, da České Budějovice nel giugno 2014, da Venezia (sì, anche da Venezia, sull'Isola di San Servolo, in passato sede di un manicomio) nel settembre 2014, da Hradec Krávolé il 4 ottobre 2014 e da Pilsen/Plzeň il 30 ottobre 2014. E non sarà l'ultima città che ha voluto mantenere viva la memoria di questo grande uomo. Ne sono sicura.
 
Quasi sempre ci sono fiori freschi deposti sulla lastra, infissa nel terreno, a ricordo di Václav Havel, nato nel 1936 a Praga e morto nel 2011 a Hrádeček nei pressi di Trutnov (la mia città natale di Trautenau). E due persone che stanno sedute sulle poltroncine – per riposarsi? per meditare? per rievocare la figura di Havel? – mi aiutano a trascrivere le parole incise nel bordo in ferro del tavolo, parole che loro sanno a memoria: Pravda a láska musí zvítězit nad lží a nenávistí: "La verità e l'amore devono vincere la bugia e l'odio".
 
A destra il muro esterno della prigione di Pilsen-Bory, a sinistra piccoli orti di periferia
Sono parole conosciute a tutti i Cechi, parole degli anni "rivoluzionari" di Havel, della sua critica al governo che gli costò alcuni anni di carcere. Anche a Pilsen/Plzeň, nella famigerata prigione di Bory, dove scrisse le sue "Lettere a Olga" (sua moglie Olga Šplíchalová) e strinse amicizia con l'attuale arcivescovo di Praga, Dominik Duka, anch'esso rinchiuso. Sotto il regime comunista, Bory – un nome che ancora oggi pesa come un macigno – era un temuto luogo di intimidazione e rieducazione di dissidenti. Nei primi anni dopo la Seconda Guerra Mondiale in questo enorme edificio, costruito nel 1874 con una vistosa architettura a stella, furono maltrattati e uccisi anche dei Tedeschi dei Sudeti. Oggi, alcune famiglie di Pilsen/Plzeň hanno impiantato, proprio al cospetto del muro esterno del carcere armato di filo spinato, dei piccoli orti. Con simpatiche casette in legno, fiorite aiuole e barbecue per divertenti grigliate.


martedì 19 maggio 2015

La "Chiesa degli Spiriti" a Luková

32 anime sono ritornate
 
Installazione di Jakub Hadrava nella chiesa di San Giorgio a Luková
Jakub Hadrava, un giovane studente alla facoltà di arte e design dell'Università di Pilsen/Plzeň, si imbatté, alla ricerca di un tema per il suo baccalaureato, nel villaggio quasi abbandonato di Luková nei pressi di Manětín a nord di Pilsen/Plzeň. Vi vide la Kostel sv. Jiří, la chiesa di San Giorgio. Muri scrostati, affreschi sbiaditi, altari vuoti. Un'immagine di sfacelo e decadimento. Una sfida per un giovane artista.

Anche le case a Luková hanno visto tempi migliori.
Sottopose alcune sue commilitoni ad una tortura di mezz'ora: dovevano far seccare su di sé dei tessuti di lino e di pizzo intrisi di gesso liquido. Negli atteggiamenti più diversi. Così oggi, nella chiesa di San Giorgio, stanno sedute e accovacciate 32 figure bianche, come velate, si appoggiano tra di loro e ci vengono incontro. E quando ci si sforza ad ascoltare le si sente bisbigliare e mormorare delle preghiere. Il villaggio di Luková, dimenticato fino a poco tempo fa da Dio e dagli uomini, viene ora visitato da turisti provenienti da tutto il mondo. La "Chiesa degli Spiriti" porta fama e, speriamo, anche denaro per i necessari lavori di restauro.
Petr Koukl, il guardiano della chiesa di San Giorgio a  Luková
"Fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, qui a Luková vivevano 80, 100 persone", racconta Petr Koukl che tiene la chiave della chiesa sulla collina, "oggi viviamo qui in quattro: la mia famiglia e un signore novantenne. Durante il fine settimane e in estate però arrivano anche dei Cechi che hanno acquistato delle case qui."

32 anime dei 80, 100 Tedeschi dei Sudeti, espulsi alla fine della guerra da Luková, sono ritornate nel loro villaggio nativo, nella loro chiesa nella quale avevano sempre pregato.
"Věřící“ (Credenti) è il titolo che Jakub Hadrava, il giovane designer, capelli lunghi e occhiali da intellettuale, ha dato alla sua installazione. Per molti visitatori però questi 32 fantasmi bianchi e senza volto a Luková rappresentano più di un'opera d'arte, più di una creazione spettacolare e impressionante. Sono i loro tragici ricordi dei tragici tempi dell'espulsione dei Tedeschi dalla Boemia.
L'interno della chiesa di San Giorgio a Luková, visto dall'alto


 "Credenti" nella chiesa di San Giorgio a Luková
P.S.:
A Praga, nell'Artinbox Gallery, è stata inaugurata in questi giorni la mostra „Odsun“ (Espulsione). Il fotografo ceco Lukáš Houdek (che da anni si dedica a questa tematica) e il fotografo francese Philippe Dollo vi espongono, fino al 12 giugno, i loro lavori ispirati all'esodo dei Tedeschi dalla Boemia.
Prenotazione telefonica per la visita alla chiesa di San Giorgio a Luková: +420 606 169 636

lunedì 18 maggio 2015

Incontri al margine (2)

Lenka e Milan
Delle volte, quando sono sola a colazione, arrivano, ancora un po' assonnati, e mi fanno compagnia. Talvolta Milan mi porta un espresso preparato appositamente per me. E poi cominciano a raccontare. "Lo sa che mia madre è nata in Ucraina?", inizia Milan, e "Nella seconda metà dell'Ottocento dei Cechi erano stati chiamati nei territori ucraini di confine dove c'erano terre e case per loro", aggiunge Lenka. Così erano nati dei villaggi cechi, con una vita culturale vivace, con scuole e teatri.
 
Milan Peřka e Lenka Peřková a Rokycany
Milan e Lenka sono i simpatici proprietari della Pensione Le@My a Rokycany, dove ho alloggiato per tre settimane, in una bella stanza dalla quale non vedevo altro che tetti, case unifamiliari e giardini. Un luogo che sembrava fatto apposta per riflettere e scrivere.

"Dopo la Seconda Guerra Mondiale", continuano a raccontare, "i Cechi dell'Ucraina potevano, se lo desideravano, ritornare nella Repubblica cecoslovacca."  Furono organizzati dei convogli per quelli disposti a rientrare, anche per rimpiazzare i Tedeschi dei Sudeti cacciati dai loro villaggi. "Mio nonno ha dormito tutto il tempo in un carro bestiame con una mucca e due cavalli, aveva un forcone con sé per difendersi dai ladri."
 
Alcuni anni fa, Milan, suo figlio e sua madre hanno fatto un viaggio in Ucraina. E la madre  riconosceva ancora tutto nel villaggio: qui aveva abitato questo e là quell'altro, là si trovava la scuola e più lontano la trattoria. Trovarono anche la loro casa. "Mia madre ha parlato con la casa." Ma nel cimitero nessuna traccia di tombe ceche. Finché non scorsero, nel bosco e nascosto tra pungenti cespugli e infestanti erbacce, il vecchio cimitero ceco. E una pietra tombale rovesciata con i nomi degli antenati. "In un secchio, mia madre ha portato con sé dell'erba e dell'acqua raccolte al cimitero in Ucraina, fino a casa in Repubblica Ceca, e qui ha portato l'erba e l'acqua al cimitero." E a Milan, di solito tanto distaccato, vengono le lacrime agli occhi.

Come i Tedeschi dei Sudeti, che ritornano, ultimamente sempre più spesso, nei loro villaggi nativi ora cechi per cercare le loro case, la scuola, la chiesa e le tombe sul cimitero, così dei Cechi ritornano nei loro villaggi nativi ora ucraini per cercare le loro case, la scuola, la chiesa e le tombe sul cimitero. Destini simili. Sotto altri presupposti però.

Lenka e Milan davanti alla loro pensione a Rokycany
Lenka e Milan parlano abbastanza bene il tedesco, quel tedesco simpaticamente colorato dei Cechi, morbido come i knedliky, i canederli boemi. Ed erano sempre pronti ad aiutarmi. Presso il veterinario e il meccanico e la farmacia – in tutte quelle situazioni di bisogno in cui ci si può trovare quando si viaggia, da sola, in un paese di cui non si conosce bene la lingua. Erano sempre pronti – quasi sempre, a dire la verità: quando alla televisione si trasmettevano partite di hockey su ghiaccio o di calcio, allora dovevo aspettare il fischio finale. Prima di quello Milan non voleva essere disturbato.
Na shledanou, Lenko a Milane!

La Notte della Letteratura

Un tema ricorrente: l'esodo
Per la Noc literatury, la "Notte della Letteratura", la capitale europea della cultura Pilsen/Plzeň aveva organizzato in vari e significativi luoghi della città alcune maratone di lettura. Scrittori prevenienti da vari paesi europei – dalla Norvegia al Portogallo e dalla Spagna all'Austria – leggevano dalle loro opere. La mia casa fu, per alcune ore, il Meeting Point nella piazza centrale, a pochi passi dalla cattedrale.
 
"Quando vevo quasi due anni, uno dei miei zii, sacerdote tedesco in Boemia, fu condannato dai nazisti a tre anni e mezzo di carcere duro per aver ascoltato la radio 'nemica'", inizio a leggera un brano, tratto dal mio libro "Boemia andata e ritorno"*. Io leggo in tedesco, il pubblico segue la traduzione ceca stampata su un foglio di carte. "Un mese prima, subito dopo la fine della guerra, avevamo già dovuto lasciare la scuola dove abitavamo... Tempo 24 ore per andare a vivere in una casa vicina... E la maggior parte delle nostre cose era già rimasta indietro allora. Pentole, padelle, cucchiai, coltelli, forchette... i miei abiti estivi ricamati a mano e i miei pullover invernali lavorati a maglia... la macchina da cucire nel soggiorno e la legna in cantina... E rimasero indietro i morti. "

La mia famiglia nel 1942 a Radowenz/Radvanice: i miei genitori, i miei due fratelli, mia sorella ed io (davanti al centro)
Raccontavo poi – con l'aiuto di Tereza Svášková, la sempre precisa moderatrice e, all'occorenza, traduttrice in e dal ceco – di una camminata che avevo fatto due anni fa sul tragitto della nostra espulsione nel giugno del 1945. "Per me questo viaggio nel passato, questo toccare con mani e piedi strade e sentieri sui quali fummo espulsi come 'indesiderati', rappresenta un ritorno in Boemia. Che è la mia patria. Nonostante tutto."
 
Arrivarono domande, lentamente, domande riservate e delicate, ci furono emozioni, abbracci, lacrime. Persone che, forse, venivano confrontate per la prima volta con la perdita della patria e l'eterno essere senza patria. La maggior parte dei presenti comunque sapeva – fatto ancora oggi non ovvio in Repubblica Ceca – dell'odsun, dell'espulsione dei Tedeschi dei Sudeti da territori abitati da secoli. E tutti ammisero: questo tema è rimasto per anni, per decenni un tabù, ne era stata data una versione storica semplificata (come reazione "logica" e quindi giustificabile dei Cechi alle nefandezze commesse dai Tedeschi) e solo da alcuni anni le ultime generazioni cercano di occuparsi di questa tematica, di saperne di più.

Lukáš Houdek,  „La marcia della morte di Brno“, dal progetto "L'arte di uccidere" (2012). Il fotografo ceco, nato nel 1982 in Boamia occidentale, vi ricostruisce con bambole barbie degli avvenimenti tragici avvenuti durante l'espulsione dei Tedeschi dalla Boemia..
Anche nelle ore della "Notte della Letteratura" ho sentito ciò che, durante il mio soggiorno qui a Pilsen/Plzeň, mi diventa sempre più evidente: considero fratelli e sorelle tutti i Cechi. Come lo fu 100, 150 anni fa, quando non solo nei territori di confine abitati dai Tedeschi, ma in tutta la Boemia vivevano e si frequentavano non persone etichettate come "Cechi" e come "Tedeschi", ma semplicemente dei vicini. Che si capivano oltre la lingua.


* Wolftraud de Concini, Boemia andata e ritorno, Pergine Valsugana: Publistampa 2013

venerdì 15 maggio 2015

Villaggi abbandonati


Una rinascita per Výškovice?
Sembra che anche Goethe sia passato più volte da Výškovice. Il grande poeta venne nel 1821, allora 72enne, per la prima volta a Marienbad, il centro termale aperto tre anni prima. Di tanto in tanto si recava nella vicina località di Tepl/Teplá, famosa per un monastero di padri premonstratensi fondato alla fine del II secolo. Vi andava a trovare l'abate Karl Kaspar Reitenberger. Per discutere con lui, persona colta ed affascinata dalle scienze naturali, di fonti termali e del loro sviluppo? Oppure gli confessava la sua passione per l'allora diciasettenne Ulrike von Levetzow? Due anni più tardi, dopo il rifiuto di Ulrike, questo infelice amore gli ispirò l'"Elegia di Marienbad". "E mentre l'uomo nel dolore è muto, un Dio mi diede il bene di esprimere nel canto le mie pene. E che posso sperare dal rivederci, dalla fioritura di questo giorno, non ancora dischiusa? Paradiso ed inferno, ecco s'aprono a te: quale tempesta s'agita nel cuore!", pinge la sua passione per Ulrike, di 55 anni più giovane di lui.

Un'altra passione di Goethe fu sempre la geologia. Anche durante i suoi soggiorni a Marienbad. Con i suoi accompagnatori percorse – come annota in data 21 agosto 1821 – "una terribile strada nel bosco", ma "fummo ricompensati dall'inatteso ritrovamento di basalto". Si riferisce alla montagna Podhora, con i suoi 847 m di altitudine un eccezionale punto panoramico e un paradiso di piante rare ed endemiche.

Geologia e botanica, dunque. Goethe non dice niente del confine linguistico, della lingua ceca parlata qua e della lingua tedesca parlata là. Solo molto più tardi, più di un secolo più tardi, questo limite divenne attuale, divenne un problema da cui nacquero eventi drammatici: prima della Seconda Guerra Mondiale, duranta la guerra e immediatamente dopo la fine della guerra. Quando i Tedeschi dei Sudeti dovettero abbandonare i loro villaggi che in seguito andarono in rovina.

Architettura tradizionale a Výškovice
 
Di questi cambiamenti nel paesaggio culturale si discute in questi giorni a Pilsen/Plzeň. Esperti cechi e tedeschi si interrogheranno se sarà possibile rivitalizzare questi villaggi. Il culmine di questa conferenza, voluta e asponsorizzata da enti cechi e tedeschi, sarà una gita a Výškovice. Non sulle tracce di Goethe, ma per l'inaugurazione di un'installazione di land-art.


La cappella barocca dedicata a Maria dal Buon Consiglio a Výškovice
Ci sono andata alcuni giorni fa. Su "terribili strade", per dirla con Goethe. Negli ultimi chilometri di una stradina stretta e tortuosa non ho trovato nessuna casa, nessuna persona, nessuna indicazione. Solo curve e boschi, curve e boschi. Finché, con un leggero batticuore, giunsi nel villaggio. Villaggio? Ma si può chimare "villaggio" un insieme di due-tre case – sebbene nella fascinosa architettura tradizionale – , di una cappella fatiscente, di un vecchio tiglio e di alcuni stagni?

Výškovice è assurta a simbolo dei villaggi disabitati e abbandonati della Boemia occidentale. Vivrà una rinascita? Lo spero tanto.

L'interno della fatiscente cappella barocca di Výškovice. Una targa avverte che l'edificio è pericolante.


Una passeggiata lunmgo la Radbuza
 Oggi ho fatto una passeggiata con Šárka. La sua cagnetta Topinka e il mio cagnetto Zampa andarono subito d'amore e d'accordo. Anche Šárkaed io ci comprendiamo bene.


Šárka Krtková, 35 anni, nata a Praga, ha studiato scienze politiche a Chemnitz (Germania) e concluso i suoi studi a Pilsen/Plzeň. Da alcuni mesi cura dei progetti transfrontalieri per la capitale europea della cultura 2015 – dove per "frontiera" si intende quella tra la Baviera e la Boemia occidentale. Una frontiera che, secondo la mia impressione, non esiste neppure più. In un buon tedesco dal bell'accento ceco racconta appassoinatamente delle tante iniziative in questo cxampo: lo scambio tra scuole e studenti, campeggi estivi ceco-tedeschi con animazione linguistica e tante altre cose.


Da cartiera a fabbrica per la cultura lungo le rive della Radbuza

Sport sulla Radbuza, una delle passioni degli abitanti di Pilsen/Plzeň
Abbioamo fatto una lunga passeggiata sulle rive della Radbuza, lungo questo fiume il cui nome sa di ragazze incantate e di fate dell'acqua. Un fiume di cui gli abitanti di Pilsen/Plzeň, figuriamoci i turisti, quasi non si accorgono. Infatti, non tutti si rendono conto che Pilsen/Plzeň è una città dai quattro fiumi. Da occidente si avvicina, tortuosa, la Mže, da sud si avvicinano la Radbuza, l'Úslava e l'Úhlava, e dove Mže e Radbuza si incontrano, perdono i loro nomi per diventare il quinto fiume di Pilsen/Plzeň, la Berounka. E la Berounka, attraverso la Moldava e l'Elba, giunge nel Mare del Nord. Pilsen/Plzeň ed Amburgo, dunque, sono unite dall'acqua. E dalla birra che in ambedue le città viene prodotta da secoli.
Scusami, Šárka, ma mi sono allontanata dai progetti transfrontalieri che, giustamente, ti stanno tanto a cuore. Della Radbuza racconterò un'altra volta perché ne sono innamorata. E prima o poi dovevo pur arrivare alla birra. Perché nonostante tutti i fermenti culturali che si stanno realizzando a Pilsen/Plzeň in quest'anno, la città rimarrà sempre e soprattutto famosa per la birra.
Eventi culturali si svolgeranno anche sul piccolo palco allestito nello stabilimento balneare che aprirà tra poco.

Incontri al margine

Pietra arenaria dal Monti dei Giganti
La statua di San Giovanni Nepomuceno sulla piazza principale della cittadina di Nepomuk
Il passato mi raggiunge sempre.
Dato che nei prossimi giorni si svolgeranno festose cerimonie nella cittadina di Nepomuk (che esiste davvero) volevo rivedere questa località a sud di Pilsen/Plzeň, probabile luogo di nascita del molto venerato "santo dei ponti". Uscita dal museo locale, veramente lodevole e meritevole di una visita (al centro stanno, naturalmente, la storia e la diffusione del culto del Santo), era troppo presto per pranzare. E' vero, avevo gustato e apprezzato, in un'altra occasione, il gulash nel Švejk Restauracesituato sulla sconnessa e scoscesa piazza principale. Ma al momento mi bastava un maly espresso, un "piccolo" espresso che, se confrontato con quelli serviti in Italia, è sempre grande e lungo.

L'ampio paesaggio boemo, in primo piano una scultura di Petr Řezníček
Durante il tragitto verso Pilsen/Plzeň però mi venne fame. Vicino al villaggio di 
Chválenice mi incuriosì il cartello „Restaurace – Galerie“, anche per i grandi blocchi di pietra accumulati attorno alla casa. Il proprietario, con due trecce come un capo indiano, mi servì un piatto di pollo. Quando poi, senza che io glielo avessi chiesto, mise in tavolo un bicchierino di un liquore di ciliegia di produzione casalinga, cominciammo a parlare. Mi raccontò che, visto che lui stesso era occupato con il ristorante, ormai la bottaga d'arte veniva portata avanti da suo figlio. Gli chiesi da dove veniva la pietra color ocra della maggior parte delle sculture attorno al restaurace. Dal Krkonoše in Boemia orientale, mi rispose. Dal Krkonoše? Dai Monti dei Giganti? Anch'io provengo da lì, gli risposi. Sorrise, ma probabilmente si meravigliò perché io, pur essendo originaria da una regione della Repubblica Ceca, non sapessi parlare meglio il ceco. Ma forse non sapeva niente dell'odsun, dell'espulsione dei Tedeschi negli anni 1945 e 1946.
 

Petr Řezníček nel suo atelier all'aperto
Il mio passato mi raggiunge sempre. Anche con scultura in pietra arenaria. Però pietra arenaria proveniente dai Monti dei Giganti.

Link: www.msjn.cz



e sie possibile rivitalizzare dei villaggi, abbandonati dai Tedeschi espulsi nel 1945 e mai più ripopolati