martedì 30 giugno 2015

Ancora una volta Adolf Loos

L'architetto di Brno e i suoi committenti a Pilsen/Plzeň
Erano tutti clienti suoi per cui oggi vorrei parlare di loro e delle loro famiglie. Anche del loro destino, spesso un destino tragico. Erano imprenditori ebraici, benestanti, e con Adolf Loos avevano trovato un architetto arredatore e un designer che sapeva trasformare il capitale degli uomini, sempre molto occupati, in interni di abitazioni, per la gioia delle loro mogli, viziate e annoiate. Interni che ancora oggi, a distanza di quasi un secolo, sono incredibilmente belli, eleganti e moderni, tanto che dovrebbero essere d'esempio per ogni designer alla ricerca di stile e funzionalità.

Ritratto di Adolf Loos nell'abitazione sita al no. 10 di Bendova a Pilsen/Plzeň

Tragici destini e sventure dunque tra i committenti di Adolf Loos. Destini che portano a Terezín/Theresienstadt e a Auschwitz. E a Olomouc/Olmütz, dove Edita Hirschová, nel settembre del 1942, fu messa sul treno AAo per Terezín/Theresienstadt e da là sul treno Cu per Auschwitz. Dove morì. No, Edita Hirschová/Edith Hirsch non era tra i clienti di Adolf Loos. Era una giovane pittrice ceca, ebrea, nata nel 1908, che aveva iniziato una promettente carriera in campo artistico a Parigi quando fu arrestata per il viaggio della morte. Nell'abitazione della famiglia Brummel, suoi parenti, in Husova a Pilsen/Plzeň si trova un suo dipinto. E la guida, instancabilmente e con partecipazione, racconta di lei, della sua vita e della sua morte.

La pittrice ceco-ebraica Edita Hirschová (1908–1942)
Un dipinto di Edita Hirschová nella casa Brummel in Husova no. 58
Questo affresco del pittore austriaco Robert Aigner (1901–1966), che rappresenta un paesaggio meridionale, doveva distrarre abitanti e visitatori dell'appartamento in Husova no. 58 dalle brutte costruzioni industriali attorno.

La guida racconta della famiglia Liebstein che aveva acquistato la casa in Husova no. 58, della vita in comune della vedova Hedvika/Hedwig Liebstein con Jana e Jan Brummel, sua figlia e suo genero. Hedvika Liebstein morì nel 1943 in un campo di concentramento, Jan e Jana sopravvissero a Terezín/Theresienstadt e ad Auschwitz e a Bergen-Belsen e dopo la guerra ritornarono nella loro patria cecoslovacca.
Pietra tombale per Hedvika Liebsteinová e il marito Wilhelm Liebstein nel cimitero ebraico di Pilsen/Plzeň

L'appartamento in Husova no. 58

Armonie di colori fino all'ultimo dettaglio
Uno dei più begli arredamenti creati da Loos a Pilsen/Plzeň si trova nell'abitazione in Bendova no. 10. Ne erano proprietari Vilém Kraus e sua moglie Gertrud, una figlia del fabbricante chimico Taussig. Vilém (o Willy o Wilhelm) riuscì nel 1939 in tempo ad emigrare in Inghilterra. La moglie e i loro due figli non poterono più seguirlo. Il 18 gennaio del 1942 furono portati a Terezín/Theresienstadt e da lì nel ghetto di Zamość, in Polonia orientale. E' probabile che furono poi assassinati in un campo polacco di sterminio, forse Belżec o forse Sobibor.
 
L'appartamento in Bendova no. 10 dimostra l'impronta di Loos: materiali nobili e specchi luccicanti 



Veduta dell'interno

I colori preferiti di Loos: il rosso, il blu e il verde, qui sopra e sotto nell'interno di Bendova no. 10:


Nel giro organizzato per visitare gli interni di Loos rientra anche l'appartamento in Klatovská třída no. 12, che verso la fine degli anni Venti fu adattato, su richiesta di Josef Vogl e della moglie Štěpánka, alle esigenze di un ambulatorio medico con abitazione. Prima di loro vi erano vissuti Otto Beck, fabbricante di graticole, e sua moglie Olga e vi erano nati i loro tre figli: Eva nel 1903, Klara nel 1904 e Max-Klaus nel 1910.
 
L'abitazione in Klatovská třída no. 12
Olga Beck, moglie di Otto Beck e suocera di Adolf Loos, morì nel 1942 in un campo di concentramento. E la loro figlia Klara/Claire, la terza moglie di Adolf Loos, che dal settembre del 1941 dovette portare la stella di Davide, perì ad una data incerta a Riga, o nel ghetto o nel campo di concentramento di Latvia. Loos stesso non visse queste tragedie. Era morto già nel 1933, pochi mesi dopo il divorzio da Claire/Klara Beck, in un sanatorio nei pressi di Vienna.

Klara/Claire Beck, terza moglie di Adolf Loos (1904–1942?)
Olga Beck, la madre di Klara (1879–1942)

La pietra tombale per Otto Beck, il padre di Klara, ed Eva Schanzer, la sorella di Klara, nel cimitero ebraico di Pilsen/Plzeň


Non c'è appartamento progettato da Loos a Pilsen/Plzeň che non abbia una connessione tragica. Fatto che rende la visita alle abitazioni, oltre che un'esperienza estetica, oltremodo toccante ed indimenticabile. Se Adolf Loos proprio verso la fine degli anni Venti, cioè nel periodo passato a Pilsen/Plzeň, ebbe problemi con la giustizia – era accusato di pedofilia – è meglio che ce ne scordiamo mentre ammiriamo le sue case, lasciando questi processi fuori dalle porte delle case che esternamente non tradiscono niente della bellezza interna (ne avevo parlato in un mio testo ai primi di giugno).
 Con Klara/Claire Beck e i suoi genitori Otto e Olga Beck mi sono avvicinata ad un tema che, fatte le debite ricerche, vorrei approfondire dopo il mio soggiorno a Pilsen/Plzeň. Chissà che non ne nasca una biografia di Klara/Claire Beck/Becková.
Intanto, il mio cane Zampa sta studiando le App per la visita agli interni di Loos..



... e nel vicino "Inkognito", punto d'incontro di intellettuali, sembra che per l'arredamento si siano ispirati alle combinazioni di colori di Loos.

domenica 28 giugno 2015

Una storia infinita

Maruška e il signor Lederer
Mi succede sempre così. Vado ad incontrare una persona, a Pilsen/Plzeň e nei dintorni, per conoscerla, parlare con lei e raccontare dei suoi progetti. Di solito vengo a sapere delle cose interessanti che poi uso nei miei post. Ma quasi sempre, da un incontro o una conervazione, nasce un altro argomento.

Un mio autoritratto "celato"
 
Un giorno, la mia amica ceca Lenka mi aveva consigliato di andare a Mešno. Il villaggio di neppure cento abitanti si trova a circa 20 chilometri a sudest di Pilsen/Plzeň, a metà strada tra Mirošov, di cui racconterò in un altro post, e la cittadina barocca di Spálené Poříčí, dove tra pochi giorni si terrà l'apertura simbolica del grandioso festival "9 TÝDNŮ BAROKA/9 SETTIMANE BAROCCO" (durerà dal 29 giugno al 30 agosto). Lenka aggiunse che una donna del paese aveva messo insieme un piccolo museo etnografico, su iniziativa propria e con le proprie forze.

Arrivata in paese mi misi a cercare Marie Musilová. Senza difficoltà perché in un piccolo villaggio si conoscono tutti. Maruška? Abita laggiù, nella casa gialla-blu vicino alla chiesa. Intanto vorrei visitare la Kostel Nejsvětější Trojice, la chiesa della Trinità ricostruita 110 anni fa in stile neogotico dopo che un incendio aveva distrutto la precedente cappella barocca. Ma la chiesa è chiusa. Come quasi sempre in Repubblica Ceca. E Marie-Maruška, che nel frattempo è arrivata, si vergogna per gli scalini sporchi, coperti di foglie, attorno alla chiesa.
Marie Musilová sulla porta del vecchio granaio
A casa sua è un'altra cosa. Nel bel giardino davanti all'abitazione vi sono dei curati pannelli che invitano alla visita del Mešenský špejchárek, del piccolo granaio di Mešno, costruito con travi di legno imbrunite dal tempo. Apre una porta – "ha 300 anni, come il granaio" – e mi mostra orgogliosa gli oggetti messi insieme: tazze e bottiglie, piatti, padelle e posate, brocche e bacinelle, pentole di ceramica e di smalto, macinini per il caffè, grattugie, ferri da stiro e vasi da notte, ricami e lavori all'uncinetto, immagini sacre, crocifissi e tante altre cose. Trovate presso le famiglie del paese e raccolte qui nel granaio che è stato restaurato da lei e dalla sua famiglia in mesi di lavoro.
 
Vecchie travi del granaio


Davanti al granaio mi fa notare una foto in una cornice di legno. Una freccia indica una bambina: "Maruška", sua madre nata nel 1921. Sulla fotografia dovrebbe avere sui sei anni, dunque  è stata scattata attorno al 1927. Da un lato di Maruška sta l'allora parroco di Mešno, dall'altro Richard Lederer. Possedeva una bottega di generi misti, un commerciante laborioso, amato e apprezzato nel paese. Però improvvisamente, verso l'inizio degli Anni quaranta, non poté più vendere stoffe e calze e detersivi e droghe. Non glielo permisero più. Perché era ebreo. E dopo la Seconda Guerra Mondiale non ritornò più da Auschwitz.

Richard Lederer, Maruška e il parroco di Mešno in una fotografia scattata attorno al 1927
Nella casa di abitazione, pure vecchia e sistemata con cura, Marie Musilová mi mostra l'originale della foto con sua madre Maruška, il prete cristiano e il commerciante ebraico. Anche lei sembra molto presa da questa storia.
Senza volere, qui a Pilsen/Plzeň e nei dintorni non riesco a distogliermi da alcune tematiche: l'espulsione dei Tedeschi, la non-accettazione dei Rom e la persecuzione degli Ebrei. Solo nella città di Pilsen/Plzeň, nel gennaio del 1942 furono deportati circa 2600 ebrei, che erano parte integrante della vita sociale, economica e culturale della città. Furono trasportati in campi di concentramento nazisti. E solo pochi sopravvissero. La stessa tragica sorte toccò a molti altri concittadini ebraici che vivevano nelle città e nei villaggi della regione. Tra di loro anche Richard Lederer di Mešno. Un singolo caso di questo genocidio risulta  più toccante e più sconvolgente di mille numeri.


600 anni dopo Nepomuceno


 
Le cinque stelle di San Nepomuceno sulla chiesa di San Nepomuceno nella cittadina di Nepomuk


Incontro con il vescovo di Pilsen/Plzeň


Inizia subito a raccontare. Di Nepomuceno, il "santo dei ponti" famoso e venerato in tutto il mondo, del suo conflitto, essendo vicario generale dell'arcivescovo di Praga, con il re Venceslao IV ("al sovrano piaceva bere", commenta con una punta di ironia), come i fedeli del re, forse addirittura in concorso con il re stesso, lo avessero torturato, maltrattato e tanto brutalmente percosso che, per nascondere sevizie e supplizi, l'avessero gettato, moribondo o già morto, nella Moldava. Dove si erano illuminate cinque stelle. Le cinque stelle che, in molte statue del Santo, ornano il suo capo.


Una statua di san Nepomuceno nel Museo di arte sacra di Pilsen/Plzeň. Il bambino ai piedi del santo tiene un dito sulla bocca: un'allusione al segreto confessionale che Giovanni Nepomuceno, nonoastante le minacce del re, non volle violare.

Le cinque stelle si trovano nello stemma della Diocesi di Pilsen/Plzeň come pure in quello del vescovo.

Lo stemma della Diocesi di Pilsen/Plzeň


La persona che mi racconta, con grande immaginativa, la storia di san Nepomuceno, è Sua Eccellenza František Radkovský, il primo vescovo nella storia di Pilsen/Plzeň. Fu nominato nel 1993, esattamente 600 anni dopo la morte di san Nepomuceno.
 


František Radkovský, dal 1993 primo vescovo di Pilsen/Plzeň

Già nel 1393 vi era stato il progetto di formare una diocesi nella Boemia occidentale, con sede nell'allora potentissimo convento benedettino di Kladruby/Kladrau. L'avrebbe voluta il re Venceslao, i padri benedettini e Nepomuceno la pensavano diversamente. Anche questa divergenza di intenzioni potrebbe essere stata una delle cause dei violenti dissidi che portarono alla morte di Nepomuceno. Era predestinazione che l'odierna diocesi della Boemia occidentale è nata esattamente 600 anni più tardi? Non pochi storici hanno sottolineato questa strana coincidenza, le "pecorelle" di Radkovský vedono in lui un successore spirituale di Nepomuceno.


Veduta parziale della chiesa del convento di Kladruby


Il vescovo Radkovský non è solo un affascinante narratore, ma soprattutto un dignitario ecclesiastico conosciuto e apprezzato ben oltre i confini della sua diocesi e del paese. Parla perfettamente il tedesco (e anche l'italiano), conosce i nomi tedeschi di tutte le località della sua diocesi abitate in passato da Tedeschi, intrattiene relazioni d'amicizia con il vescovo di Ratisbona, Rudolf Voderholzer, partecipa a pellegrinaggi ceco-tedeschi sia al di qua (Boemia) che al di là del confine, sostiene ogni tipo di iniziativa bilaterale ceco-tedesca in campo religioso. Sicuramente lo si deve anche al suo garbo e alla sua impegnata credibilità che negli ultimi anni e decenni oltre 50 chiese nei villaggi ex-tedeschi sono state restaurate con offerte in denaro da parte di Tedeschi. "Riconciliazione" e "ponte" sono i password che gli hanno procurato stima a livello internazionale e simpatia in casa.
Già nel 1997 il vescovo Radkovský aveva chiesto scusa ai Tedeschi dei Sudeti espulsi dalla loro patria. Gli chiedo perché non tutti i Cechi lo fanno, nemmo oggi. "Ci vuole tempo", è la sua risposta, "anche a Mosè ci sono voluti 40 anni per portare il popolo d'Israele in Terrasanta, da liberi. Per la riconciliazione ci vuole tempo!". Tuttavia è convinto che la riconciliazione tra tedeschi e cechi sia possibile ora, tra le giovani generazioni che hanno la coscienza libera da asti e ricordi.

Ovviamente gli chiedo anche della religione in Repubblica Ceca, del numero costantemente in diminuzione di persone che dichiarano la loro appartenenza ad una chiesa, che sia cattolica, evangelica, hussita, ortodossa. Così dicono le statistiche. "Le statistiche? Io sono statistico per formazione professionale per cui so come possono essere manipolati i sondaggi." Radkovský è convinto che i Cechi, ora liberi e benestanti, siano alla ricerca di un'altra dimensione, ancora lontani, sì, dal cristianesimo praticante, ma tuttavia sulla strada dalla irreligiosità alla fede, sulla via della spiritualità.

Un altare allestito in strada per una festa cristiana
Candele al cimitero di San Nicola a Pilsen/Plzeň



Abbiamo fatto tardi, più tardi del previsto. La segretaria bussa alla porta. František Radkovský è atteso per una riunione. Mentre ci salutiamo mi regala un opuscolo su santuari e pellegrinaggi nella diocesi di Pilsen/Plzeň. Me ne vado malvolentieri, ma a cuor leggero da questo esemplare buon pastore. E sono certa che nelle prossime settimene lo rivedrò in qualche pellegrinaggio.


P.S.:

L'anno scorso il vescovo Radkovský aveva suscitato la curiosità dei media sempre alla ricerca di notizie sensazionali. Aveva benedetto una partita di birra Pilsner Urquell, prima della partenza per Roma, come dono pasquale al Papa: da Francesco a Francesco, dal vescovo František al Papa Francesco. Si conoscono altri sacerdoti che hanno benedetto vini e spumanti e grappe. Ma Pilsner Urquell ha un suono particolare. Sa di lieta e fraterna compagnia.

mercoledì 24 giugno 2015

Piccolo paese – grande storia

Come furono salvati i cavalli lipizzani

Michaela Kodaková, una bella donna giovane, non è solo una efficiente ostessa nel "Dvůr Svržno" e una brava madre per i suoi tre bambini, ma anche un'eccellente cavallerizza. Da ragazza, con il suo stallone "Hanibal", è risultata vincitrice ai campionati cechi. Ora assieme al marito David conduce la scuderia Svržno a Hostouň – località che fino al 1945 si chiamavano Zwirschen e Hostau.

E proprio nel 1945 qui avvenne un colpo di mano che è entrato nella storia come "Operazione Cowboy". Appena ha finito di servire i clienti nell'accogliente restaurace, me ne parla volentieri, mostra entusiasta fotografie, documenti e lettere nel piccolo museo che ha allestito in un'ala della scuderia.



Michaela Kodaková nel suo piccolo museo



Sembra incredibile: negli ultimi giorni di guerra si allearono qui, in un villaggio della Boemia occidentale vicino alla frontiera ceco-tedesca, Americani e Tedeschi, i soldati dell' US Army che si stavano avvicinando da ovest con i soldati della Wehrmacht tedesca che si stavano ritirando verso ovest, in un'eccezionale, audace impresa: per salvare qualche cosa come 500 cavalli. Non cavalli comuni veramente, non rozzi cavalli da lavoro dimagriti per i patimenti della guerra, ma il meglio del meglio delle dinastie internazionali di cavalli. Qui a
Hostouň/Hostau, allora occupata dalle truppe tedesche, erano stati riuniti tutti i cavalli delle più famose scuderie minacciate dalle azioni al fronte e dall'avanzamento delle truppe russe. E nella maggioranza si trattava di bianche, nobili lipizzani che da secoli si esibivano (e tuttora si esibiscono) con straordinari pezzi di bravura nella Spanische Hofreitschule a Vienna.


Un esercizio di addestramento nella Spanische Hofreitschule di Vienna



Per salvarli dai Russi  – dove, forse, sarebbero finiti nelle pentole da cucina – Americani e Tedeschi facevano trattative segrete. Amanti di cavalli dall'una parte del fronte si accordarono con amanti di cavalli dall'altra parte del fronte e con una temeraria impresa salvarono tutti i cavalli alloggiati nelle scuderie di Hostouň/Hostau, portandoli di notte attraverso il confine verso la Baviera, allora controllata dagli Americani. Giumente gravide e puledri sui carri fatti arrivare in fretta e furia, gli stalloni a piedi su disagevoli sentieri nel bosco. E' facile immaginare che, conclusa l'impresa, si saranno sfregati le mani dalla contentezza. E dopo la guerra la Hofreitschule di Vienna poté riprendere i suoi formidabili numeri di addestramento, di nuovo sotto la direzione del colonnello Alois Podhajsky che aveva avuto un ruolo da protagonista anche a Hostau. E la scuola di Vienna continuova le sue esibizioni con i lipizzani salvati in un villaggio sperduto della Boemia occidentale.

Il colonnello Alois Podhajsky in un dipinto di Siegfried Stoitzner



  "Eravamo così stufi di morte e distruzione che volevamo fare qualche cosa di bello", era il semplice commento del Colonel americano Charles H. Reed, uno degli eroi di questa missione segreta americano-tedesca. Missione che avvenne con l'approvazione e il beneplacito del generale americano George S. Patton, quello che il 5 maggio 1945 avrebbe poi liberato Pilsen/Plzeň. Perché Patton non era solo un soldato avido di guerre e combattimenti, ma anche un grande amante di cavalli. "Get them. Make it fast", aveva ordinato quando, prima della liberazione di Pilsen/Plzeň, di questa liberazione molto più "romantica": "Fateli uscire. Ma fate presto!"




Soldato fino all'osso: US-General  George S. Patton



Da questa storia veramente bella, pur avendo come sottofondo guerra e morte, Walt Disney trasse nel 1963 il suo film "Miracle Of The White Stallions", con Robert Taylor e Lilli Palmer come attori protagonisti, e lo scrittore olandese Frank Westermann la inserì nel suo libro "Das Schicksal der weißen Pferde. Eine andere Geschichte des 20. Jahrhunderts", pubblicato nel 2012.


Zwirschen/Svržno in una vecchia cartolina

Svržno/Zwirschen oggi





Come ho saputo di questa storia? Delle volte, oltre all'attività di cronista cittadina, mi esercito anche come detective. Ed è da mesi che sto investigando sulla sorte di due miei zii, due fratelli di mia madre, ambedue sacerdoti ed attivi l'uno a Hostouň/Hostau e Mutěnín/Muttersdorf, l'altro a Ujezd Svatého Kříže/Heiligenkreuz. Sono tutti villaggi di quella zona della Boemia occidentale dove si svolse l'azione per la salvezza dei lipizzani e dove la cavallerizza Michaela Kodaková conduce oggi una scuderia. Quando ci congediamo, Michaela mi spiega perché parla così bene il tedesco: "Mia nonna era tedesca". E' una frase che sento  quasi quotidianamente qui in Boemia occidentale. Quasi tutti, tra i loro familiari, possono annoverare una nonna, madre, zia, cognata tedesca oppure un nonno, padre, zio, cognato tedesco. Sono fatti che dovrebbero contribuire a eliminare le tensioni tra Tedeschi e Cechi.







* Frank Westermann, Das Schicksal der weißen Pferde. Eine andere Geschichte des 20. Jahrhunderts, München: C.H. Beck 2012
www.konesvrzno.cz



sabato 20 giugno 2015

La mia "preistoria" da cronista cittadina

Nuovo incontro con Milan Novák
In questi giorni mi ha fatto visita Milan Novák, il co-autore del mio libro "Boemia andata e ritorno". Era il suo onomastico e, assieme alla moglie, è venuto da Kosmonosy a Rokycany. Che cosa c'entra questo con Pilsen/Plzeň? Direttamente no, a dire la verità, ma con la mia attività da cronista cittadina a Pilsen/Plzeň sì.
 
Così oggi non racconterò storie e storia, ma andrò indietro, nella "preistoria" del mio soggiorno a Pilsen/Plzeň.
 
Quattro anni fa, per un lavoro fotografico nell'ambito di una mostra dedicata al pittore e grafico austriaco Rudolf Kalvach (1883–1932), a Kosmonosy, cittadina a nordest di Praga, avevo conosciuto Milan Novák. Il neurologo Milan Novák nella clinica psichiatrica di Kosmonosy. Per mia fortuna però non l'avevo cercato e conosciuto in quanto medico, ma come una persona sempre disponibile e con una profonda preparazione storica.
 
Alcune delle mie fotografie realizzate a Kosmonosy furono poi state esposte nel 2012  a Vienna, al Leopold Museum, durante la prima grande e più completa mostra dedicata a Rudolf Kalvach.
 
Una delle mie fotografie in bianco e nero realizzate a Kosmonosy
 Nelle conservazioni con Milan Novák, parte in tedesco e parte in inglese, avevamo poi toccato la storia della mia famiglia. E della sua. Trovando delle sorprendenti coincidenze. La mia prima idea di scrivere un libro su Rudolf Kalvach – una biografia in forma di romanzo – finì poi nel cassetto. Preferivo dedicarmi alla mia vita in quanto nata in Boemia, ma espulsa nel 1945.

 Nacqua così il mio libro "Boemia andata e ritorno", con alcuni significanti contributi di
Milan Novák. Il volume, scritto in tedesco e in italiano, fu pubblicato nell'inverno del 2013. Durante il filmfestival di Bolzano nella primavera del 2014 venne proiettato il film "Böhmische Dörfer". Jana Cisar, la produttrice ceco-tedesca, e Peter Zach, il regista austro-tedesco, mi fecero coraggio: sapevano che il Deutsches Kulturforum östliches Europa indice ogni anno un concorso per un posto-premio da cronista cittadina. Elaborai un progetto e lo inviai, all'ultimo momento, a Potsdam. In allegato spedì pure il libro scritto da Milan Novák e da me.

Poi, parecchie settimane più tardi, la telefonata di Dr. Harald Roth, direttore del Kulturforum (stavo seduta nel mio caffè preferito a Pergine Valsugana, dove abito). E ora sono qui. Orgogliosa della mia attività da "cronista cittadina".
 
Ma senza Rudolf Kalvach e la tragica storia della sua vita
 
Rudolf Kalvach, pittore e grafico austriaco, morì a Kosmonosy, una clinica psichiatrica della Repubblica cecoslovacca
senza Milan Novák

e senza Jana Cisar e Peter Zach (li ho già presentati in uno dei miei posts precedenti dedicato al Filmfestival Finale di Pilsen/Plzeň) non mi sarebbe mai venuta l'idea di partecipare ad un concorso-premio. Mai avrei pensato che anche i sogni possono diventare realtà. E il mio sogno era di passare alcuni mesi in Repubblica Ceca e di analizzare il mio rapporto con in mio paese di nascita e i suoi abitanti.

Ecco, questa è la mia "preistoria" da cronista cittadina. Ma non c'è settimana in cui io non mi rivolga a Milan Novák. Non al neurologo Novák, bensì allo storico che trova sempre risposte pronte anche alle mie domande più difficili e più delicate. E ci stiamo domandando se e quando scriveremo insieme il prossimo libro.



 
I miei angeli

Oggi vorrei iniziare una nuova rubrica, quella dedicata ai miei angeli custodi (ma perché non esiste una forma femminile per "angelo"?). Sono soprattutto delle donne che mi hanno aiutato e assistito nelle più svariate situazioni. Per cui vorrei presentarle qui, una alla volta.
 
Di Šárka Krtková avevo già parlato in uno post precedente, quello sulla passeggiata lungo il fiume Radbuza. Un'altra Šárka mi ha risolto molte difficoltà durante una mia recente intervista alla Radio ceca di Pilsen/Plzeň, come perfetta traduttrice simultanea.


Šárka Kuthanová
 Šárka Kuthanová, 31 anni, è nata a Pilsen/Plzeň, dove vive. Da studentessa di liceo ha passato un anno scolastico a Weiden in Germania, vivendo presso una famiglia tedesca. "E' una cittadina carina", si ricorda, "era un bel periodo". Dopo la maturità ha studiato germanistica e psicologia all'università di Pilsen/Plzeň, città in cui svolge la sua attività da interprete e traduttrice dal ceco al tedesco e viceversa.

Terminata l'intervista radiofonica andiamo in un bar vicino ("Fanno delle buonissime torte!"). E il discorso tocca – come quasi sempre tra Cechi e Tedeschi – l'espulsione dei Tedeschi dalla Boemia nel 1945/1946. Parliamo anche dei Tedeschi che, di tanto in tanto, ritornano nei villaggi ora cechi che hanno dovuto abbandonare allora. Dove cercano di ritrovare le "loro" case, anche di entrarvi. Ma non sempre, racconta Šárka, trovano buona accoglienza. Come se gli abitanti cechi di oggi volessero dire: "Questa è casa mia e io chiudo la porta!".

E detto sinceramente: chi avrebbe piacere di far entrare in casa propria degli estranei?

giovedì 18 giugno 2015

Alcune fotografie

Tanto per cambiare ...

Ho da fare tante ricerche che oggi, sicuramente, non troverò il tempo per scrivere.  La città di Pilsen/Plzeň e i suoi dintorni offrono tantissimo, storia e storie, monumenti e paesaggi. Basta guardarsi intorno per scoprire ad ogni passo delle cose sorprendenti, inattese, incredibili.

Così tanto per cambiare, inserisco oggi solo delle fotografie, senza un filo rosso tematico. Non vorrei che queste immagini andassero "perdute" perché probabilmente non le userò per illustrare o arricchire dei testi.