giovedì 30 aprile 2015

28° Filmfestival di Pilsen/Plzeň

Un pezzo di Vienna nella Casa delle Associazioni cittadine
Veramente non volevo fare altro che andare a vedere la Měšťanská beseda nella Kopeckého sady e godermi un buon  caffè. La “Casa delle Associazioni cittadine", realizzata nel 1901 secondo un progetto dell'architetto ceco Alois Čenský, è infatti il posto dove, dicono, venga servito uno dei migliori caffè della città. Ed io, da fanatica bevitrice di caffè, non me lo volevo perdere. Tutto mi aspettvao, ma non di essere catapultata nel più bell'ambiente da caffè viennese. Il locale si presenta nel più puro stile liberty e, durante la monarchia, deve aver visto tempi gloriosi che oggi, tra candelabri, pannellature in legno scuro e pitture murali galanti, si possono ancora rivivere. Vienna dunque si era esgtesa fino qui nella Boemia occidentale. Almeno nel godereccio modo di vivere.
Atmosfera da caffè viennese ...
... nella Měšťanská beseda a Pilsen/Plzeň
Agli inizi del Novecento qui si incontravano gli appartenenti alla "buona" società di Pilsen/Plzeň, oggi vi si incrociano degli ospiti vestiti in modo informale, casual e che si muovono disinvolti davanti alle telecamere e alle macchine fotografiche (come anche il mio cane Zampa). Qui, nella
Měšťanská beseda ricca di storia, si svolge fino al 2 maggio il 28° Filmfestival in cui registi cechi e slovacchi presentano le loro ultime opere, film a soggetto e documentari. La Cechia e la Slovacchia nuovamente unite.
Il fotografo ceco Karel Slach (a sinistra) e il regista slovacco Robert Kirchhoff
Con due di loro comincio a parlare: sono il fotografo ceco Karel Slach e il regista slovacco (che si trova qui in veste di membro della giuria) Robert Kirchhoff. "Pilsen/Plzeň Capitale Europea della cultura", gli chiedo, "cosa ne pensa?". "Infatti, qui siamo in Europa", risponde Kirchhoff con un sorriso appena accennato (e nonostante il suo cognome tedesco dobbiamo parlare in inglese), "l'ho visto anche a Košice (nota: la città slovacca di Košice/Kaschau fu Capitale Europea della cultura nel 2013). La gente ha trovato nuova consapevolezza, una nuova identità. E penso che ciò succederà anche a Pilsen/Plzeň", continua. "La città si scrollerà di dosso il luogo comune della 'città-tutta-e-sola-birra' per dimostrare al mondo che può offrire molto di più. Sono passati alcuni anni dalla mia ultima visita alla città e devo dire che è molto cambiata e si è aperta anche in campo culturale."

Devono andare alle proiezioni, ma prima di congedarci Robert Kirchhoff mi regala un piccolo disegno tracciato su una pagina del mio block-notes: rappresenta il fotografo Karel Slach, un ceco bonario e sorridente.

Fuori, nelle strade e piazze, si respira intanto un festoso clima di attesa: La città boema, infatti, si prepara con entusiasmo e gratitudine al 70° anniversario della liberazione dall'occupazione nazista da parte degli americani. Dal 1 al 6 maggio trabocchera di cerimonie ufficiali, di parate militari, di commemorazioni, di gente.
Manifesti inneggianti alla "Giornata della liberazione"
 
E il mio cane Zampa davanti alla Vecchia Sinagoga


martedì 28 aprile 2015

Le tre fontane dorate

Verso un futuro da città moderna
 Mi sarebbe piaciuto fotografarle in piena azione. Ma alle tre fontane sulla piazza principale Náměstí Republiky a Pilsen/Plzeň manca al momento ancora un elemento vitale: l'acqua. 
Sarà per paura di una nuova ondata di freddo, annunciata dopo gli ultimi giorni tiepidi, primaverili, che potrebbero far gelare l'acqua? Non penso proprio. E' vero, un cammello può vivere a lungo senza acqua, un levriero forse non tanto, degli angeli non so. Perché le tre fontane, luccicanti e scintillanti, rappresentano – in forme astratte, essenziali – appunto un cammello, un levriero e un angelo.
La fontana "Angelo"
Devo comunque ammettere, anche a rischio di essere considerata ignorante e gretta, che alla mia prima visita alla Náměstí Republiky sono rimasta affascinata di più da queste moderne installazioni che non della vecchia, veneranda chiesa gotica di San Bartolomeo. Certamente, la cattedrale della città si distingue per la sua affascinante posizione in mezzo alla piazza, la statua della Madonna all'interno è bella e di leggiadria angelica, le testine d'angelo all'esterno promettono fortuna e sorte favorevole (ne avevo parlato in uno dei miei blog precedenti) e il campanile con i suoi 103 metri (per l'esattezza sono 102,26 m) è il più alto del paese (di Boemia). Ma non è – chiedo venia agli abitanti della città – la più bella. Il che non impedisce agli sposi novelli, appena uniti in matrimonio nel vicino municipio, di scegliere come sfondo alle obbligatorie foto di nozze proprio la cattedrale.
 
Quasi tre quarti di chilo di oro sono stati usati per ricoprire le tre fontane di sottilissime lamine di questo metallo prezioso. Sono costi, è vero, ma non tanto alti da giustificare la reazione diffidente e poco convinta degli amministratori cittadini che, inizialmente, non erano molto entusiasti dal progetto elaborato da Ondřej Cisler, tanto che lo tennero nel cassetto per sei anni: dalla premiazione nel 2004  fino al 2010. Solo quando  in quell'anno Pilsen/Plzeň fu nominata, da una giuria internazionale, Capitale europea della cultura del 2015, fecero realizzare, e anche in fretta, le tre fontane. Come per dimostrare che da conservatori erano diventati aperti a tutte le idee e proiettati verso il futuro.
 
Per ideare il progetto delle tre fontane, il giovane architetto ceco Ondřej Cisler trasse ispirazione dallo stemma della città di Pilsen/Plzeň in cui appaiono le tre figure: il levriero come simbolo di fedeltà verso il re e la chiesa (gli abitanti della città non furono mai inclini a rivolte e sovversioni), il cammello come ricordo di un episodio avvenuto durante l'assedio della città da parte degli Hussiti (dove dimostrarono nuovamente la loro lealtà nei confronti della chiesa dominante), infine l'angelo come regalo di Papa Gregorio XIII alla città di Pilsen/Plzeň nel Cinquecento, poco dopo la conclusione del Concilio di Trento che aveva portato, per opere dei Gesuiti, ad un rinnovato, appasionato culto degli angeli.

Ecco un po' di storia della città.

 
I bambini amano correre e giocare a nascondiglio attorno alle gambe della fontana "Levriero".

mercoledì 22 aprile 2015

“Dov'è la mia patria?"


Josef Kajetán Tyl ed altre storie
Oggi voglio raccontare un'altra storia – una storia che va oltre Pilsen/Plzeň e le sue molteplici manifestazioni messe in cantiere per festeggiare la Capitale Europa della cultura 2015. Ma è una storia che comincia a Pilsen/Plzeň.
 
Gli abitanti di Pilsen/Plzeň lo conoscono (quasi) tutti, almeno di nome e di fama. A Josef Kajetán Tyl è intitolato il "vecchio" Grande Teatro, una monumentale costruzione in stile neorinascimentale al margine del centro storico. L'edificio, probabilmente, sarebbe risultato meno imponente e fastoso se il concorso di idee, indetto verso la fine dell'Ottocento per un nuovo teatro a Pilsen/Plzeň, fosse stato vinto da Josef Hoffmann. Ma a questo architetto austriaco, nato nella cittadina boema di Pirnitz/Brtnice, fu preferito Antonín Balšánek: la vittoria andò non a Josef Hoffmann, incline ad uno stile semplice e senza fronzoli, bensì al ceco Antonín Balšánek, che puntava più su costruzioni imponenti, di rappresentanza. Fu solo una questione di stile? La scelta a favore di Balšánek non fu forse dettata anche da considerazioni nazionalistiche? Non bisogna infatti dimenticare che, nella seconda metà dell'Ottocento, le piccole nazioni immerse nel gigantesco calderone della monarchia asburgica cominciarono a rivendicare il diritto alla propria cultura e alle proprie tradizioni. E così fecero anche i boemi di lingua ceca.
Il monumento a Josef Kajetán Tyl davanti al Grande Teatro di Pilsen/Plzeň che porta il nome dell'attore e drammaturgo ceco
Comunque, il Grande Teatro di Pilsen/Plzeň fu inaugurato nel 1902, dopo soli tre anni di lavori. Con l'opera "Libuše" di Bedřich Smetana. Come 21 anni prima il Teatro Nazionale di Praga. E anche questo non fu certamente una scelta casuale. La principessa Libuše è considerata la leggendaria capostipite dei Premeslidi, dinastia che dominò cdurante il medioevo per 400 anni in Boemia, prima di dover cedere il potere ai Lussemburgo.
Il Grande Teatro Civico di Pilsen/Plzeň fu in seguito, come detto, intitolato a Josef Kajetán Tyl. Era morto nel 1865 in questa città boema, durante una tournée del suo gruppo teatrale. Aveva solo 48 anni, era povero e ammalato e padre di sei figli, due femmine e sei maschi (il settimo figlio nacque un mese dopo la sua morte). Dunque una storia del tutto normale? No, questa storia non è né normale né consueta. Ha infatti un background che non molti conoscono, ma che oggi farebbe la gioia della stampa scandalistica. Dopo alcuni anni di matrimonio con l'attrice Magdalena Forchheimová, Josef Kajetán Tyl si innamorò di Anna, sorella di Magdalena e 21 più giovane di questa. Tyl la accolse in famiglia. E il ménage à trois sembra abbia funzionato alla meglio: Magdalena non chiese il divorzio, mentre Josef Kajetán e sua cognata Anna continuarono a mettere al mondo dei figli: sette (in verità otto, calcolando anche uno nato morto) in dodici anni.
 
Josef Kajetán Tyl in una litografia ottocentesca
 
Sicuramente i Cechi, a quei tempi, si sarebbero scandalizzato molto di questa famiglia a tre – se Tyl, nel frattempo, non fosse assunto ad una figura simbolo della coscienza nazionale boema. Nel 1834, a Praga, fu presentato per la prima volta l'opera teatrale "Fidlovačka" (La festa dei calzolai) di Tyl, con la musica del compositore ceco František Škroup. Il lavoro teatrale non ebbe un gran successo. Ma una delle canzoni entrò, con la sua melodia cantabile e solenne, nel cuore dei Cechi: "Kde domov můj" – "Dov'è la mia patria?". Il canto in cui si parla di acque rumoreggianti e di boschi fruscianti e in cui la Boemia viene descritta come il paradiso terrestre, immediatamente dopo la fine della Prima Guerra Mondiale venne dichiarato inno nazionale della Repubblica Cecoslovacca appena costituita. E tuttora è l'inno ceco. Commovente e indimenticabile ne fu l'esecuzione durante i solenni funerali di stato dell'ex presidente ceco Václav Havel nel dicembre del 2011 nel duomo di San Vito a Praga.
 
Dunque gli abitanti non solo di Pilsen/Plzeň, ma di tutta la Repubblica Ceca conservano un'immagine molto seria, seriosa di Josef Kajetán Tyl – certamente non quella di un irrequieto attore girovago e un volubile rubacuori. Anche se va detto che Tyl – giudicando dai ritratti eseguiti a quei tempi – doveva essere un uomo i bell'aspetto, nonostante le molte malattie che, forse mal curate per la vita errabonda da teatranti, causarono la sua morte prematura.
L'inno nazionale ceco, con le parole di Josef Kajetán Tyl und la musica di
František Škroup
 
Fino al 1938, cioè fino all'occupazione della Cecoslovacchia da parte dell'esercito del Terzo Reich nazista, l'inno nazionale ceco ebbe anche una versione in lingua tedesca. "Wo ist mein Heim? / Mein Vaterland?" cantavano i Boemi di lingua tedesca, mettendo in evidenza la differenza tra Heim/Heimat (= terra d'origine) e Vaterland (=patria).
 
Questa storia ha forse poco da fare con  Pilsen/Plzeň, ma molto con le mie radici boeme e la mia ricerca della "Heimat". Ma c'entra anche con la città di Pilsen/Plzeň. Quando passo per la sua piazza principale Náměstí Republiky, quando nell'Ateliér Jiřího Trnky vedo il viso bello, pieno e morbido, quel viso tipicamente boemo di Jiří Trnka, artista di animazione, quando viaggio attraverso il dolce paesaggio attorno a Pilsen/Plzeň, canticchiando un motivo di "Z českých luhů a hájů /Dai boschi e prati della Boemia", quarta parte del ciclo sinfonico "Má vlast" di Bedřich Smetana, allora sono sicura: Questo è domov můj. La mia terra.


giovedì 16 aprile 2015

Pietre tombali e ciottoli di saluto

 
Nel cimitero ebraico di Spálené Poříčí


Un cimitero ebraico

Durante il mio soggiorno a Pilsen/Plzeň voglio raccontare di tre minoranze: di Tedeschi, di Rom e di Ebrei. Nei miei blog precedenti ho già accennato ai Tedeschi di Pilsen/Plzeň e ai Rom. Mancavano gli Ebrei. Dopo avere ottenuto, verso la metà dell'Ottocento, l'equiparazione dei diritti, alla fine del secolo erano diventati così ricchi e influenti da poter realizzare in città una costruzione gigantesca: la Grande Sinagoga con una vistosa facciata a due campanili che, nel suo stile moresco, appare estraneo al contesto urbanistico-architettonico del centro storico. Avrei voluto visitarla in questi giorni, ma in compagnia del mio cagnolino non mi hanno lasciata entrare. Logico.

Avevo però letto del cimitero ebraico di Spálené Poříč, una cittadina a sudest di Pilsen/Plzeň. La  giornata sapeva di primavera e invitava ad una gita fuori città. 

All'inizio della Guerra dei Trent'anni, le truppe imperiali, comandate dal feldmaresciallo Charles Bonaventure de Longueval, Comte de Bucquo, avevano riportato nella battaglia della Montagna bianca nei pressi di Praga una schiacciante vittoria sull'esercito protestante, tanto che l'imperatore Ferdinando II concesse loro ricchi possedimenti e il diritto di predare e di distruggere dovunque passassero. E ne approfittarono. Anche nella località boema di Poříčí che, in seguito, venne ribattezzata in Spálené Poříčí, la "Poříčí bruciata".

Nella ricostruzione della cittadina ebbero un ruolo importante anche gli Ebrei. Loro, gli emarginati e reietti, erano i benvenuti per dare nuova vita alla cittadina rasa al suolo. Ne vennero così tanti, soprattutto artigiani e commercianti, che la comunità ebraica poté presto iniziare la costruzione di una sinagoga. E dal 1670 ebbe diritto anche ad un proprio cimitero.

Oggi, gli abitanti di Spálené Poříčí sono orgogliosi del cimitero ebraico. Lo è anche Václav, un uomo gentile e sorridente che, seduto in trattoria, aveva compreso la nostra difficoltà nel decifrare il menu del giorno. Così ce lo aveva tradotto, con qualche parola in tedesco e tanti gesti, descrivendo alcuni piatti e sottolineando i loro prezzi: 80 corone ceche (meno di 3 euro) gli dovevano sembrare tante per una pietanza di carne. Rifiutò la nostra offerta di pagargli la birra, una bella, schiumosa birra da un litro. Erano "affari suoi" ci disse e ci accompagnò verso lo židovský hřibitov al margine dell'abitato. Forse 150, 200 pietre tombali in un rettangolo recintato, sistemate senza un apparente ordine e inclinate per l'età, coperte da segni e scritte incomprensibili ai più.

L'ultimo funerale ebraico vi si era tenuto nel 1937. Allo scoppio della Seconda guerra mondiale erano rimasti solo pochi ebrei a Spálené Poříčí, otto uomini, poi uccisi nei campi di concentramento, e due donne che, sopravvissute alle persecuzioni, emigrarano appena terminata la guerra. Nel 1946 fu demolita la sinagoga. Non serviva più a nessuno. Il cimitero, però, viene visitato ancora oggi. E non solo da turisti alla ricerca di suggestivi soggetti fotografici come lo sono le vecchie pietre tombali. Sicuramente tra i visitatori, in tempi recenti, vi sono stati anche degli Ebrei. Chi altro se non loro avrebbe depositato i ciottoli in cima alle pietre tombali? Ciottoli chiamati dofek in ebraico, "pietre che bussano". Un saluto per i morti? Il ricordo di un lontano passato quando il popolo di Israele viveva (e moriva) nel deserto e proteggeva le sue tombe con mucchi di sassi da profanatori, uomini o bestie che fossero? O semplicemente un ornamento della tomba: pietre che durano nel tempo invece di fiori che appassiscono? Anche se gli storici si interrogano su origine e significato di questa usanza, cercano di trovare spiegazioni razionali – i dofek posti sulle tombe rimangono misteriosi e di fascino magico.


Vecchie pietre tombali al cimitero ebraico di Spálené Poříčí




mercoledì 15 aprile 2015

Finalmente arrivata

 
Testine d'angelo portafortuna

Per sicurezza le ho toccate tutte, le 29 testine dorate degli angeli custodi che mi guardavano dal cancello della Deposizione di Cristo sul lato orientale della chiesa di San Bartolomeo a Pilsen/Plzeň: dolci e sorridenti gli uni, seriosi e composti come statue romaniche in miniatura gli altri, scettici e pensierosi i terzi, come se sapessero leggere i miei pensieri più reconditi. E io non ero l'unica che con quel toccare le testine degli angeli cercava di procurarsi un po' di fortuna. A forza di essere palpata una delle testine ha già perso la doratura. Sono tante le persone che chiedono favori e grazie. Non solo a Pilsen/Plzeň.

Tre delle 29 testine d'angelo alla chiesa di San Bartolomeo

Dunque sono arrivata a Pilsen/Plzeň. Finalmente. Felicemente, ma non senza ostacoli. Alcune cose sono ancora da sistemare prima che mi possa mettere seriamente al lavoro. Non ho trovato molto tempo per fare delle ricerche e per scrivere. Invece ho fatto parecchie fotografie. Qui dunque alcune mie prime impressioni in immagini.

Il primo giro, ancora nella serata d'arrivo, mi ha portato, naturalmente, alla Náměstí Republiky, la vasta, larga piazza principale nel cuore del centro storico.

La chiesa di San Bartolomeo sulla Náměstí Republiky di notte
Poi ho percorso, in lungo e in largo e ancora in largo e in lungo, la piazza centrale, ho ammirato le facciate delle case costruite in vari secoli, la colonna della peste e le tre moderne fontane dorate...

Movimento di facciate sulla piazza principale

La seicentesca colonna della peste

Una delle tre moderne fontane dorate in piazza

... ho salito anche i 293 gradini (o forse sono 298?) fino alla terrazza panoramica della chiesa di San Bartolomeo...


Vista dal campanile, alto 103 metri, della chiesa di San Bartolomeo; a sinistra il Municipio rinascimentale
... e dalla piazza ho proseguito fino alla Grande Sinagoga ...

La Grande Sinagoga 
... al vecchio Teatro Civico Josef Kajetán Tyl ...

Il Teatro Civico (qui il porticato d'ingresso) porta il nome del drammaturgo ceco Josef Kajetán Tyl (1808–1865), morto a Pilsen/Plzeň.
... e al Nuovo Teatro...

Il Nové divadlo è stato inaugurato nell'autunno del 2014.


... e al parco cittadino lungo la Pallova con le sue colorate creature di fantasia che rallegrano il cuore dei bambini (e dei grandi).

Ho già fatto qualche incontro:

con Helmut Winter, un tedesco di Pilsen/Plzeň, che beveva la sua birra (che altro?) nel caratteristico locale U Salzmannů e che prossimamente mi racconterà di sé e di altri tedeschi di Pilsen/Plzeň e delle località vicine,
Helmut Winter nella birreria U Salzmannů
e con un musicista di strada rom con cui sono riuscita a parlare in Romanes.
Un musicista rom rumeno nel centro storico

Quante cose incontrerò, imparerò e vivrò a Pilsen/Plzeň, la mia residenza per i prossimi cinque mesi! E già mi sento quasi a casa. Presto troverò il mio caffè preferito, come da Jolanda e Artan a Pergine Valsugana, dove vivo abitualmente. Prenderò un espresso al mattino e un turek nel pomeriggio. Già mi sono abituata alla guida nei tanti, intricati sensi unici del centro storico. E poiché ci sono ancora molti lavori stradali in corso per abbellire Pilsen/Plzeň (speriamo in tempo) per l'arrivo dei tanti turisti nell'Evropské hlavní město kultury 2015 si può imboccare tranquillamente una strada vietata senza essere multati. Anche questo fa parte delle gentilezze della Capitale Europea della Cultura di quest'anno.



domenica 5 aprile 2015

Peccato! Škoda!

 
Di Rom e altri Altri

Peccato! Škoda! No, non penso allo stabilimento Škoda che, fondato nel 1859 a Pilsen/Plzeň, ha fornito al mondo locomotive, armi e automobili. No, veramente peccato. Škoda, come dicono i Cechi. Škoda che non sono riuscita ad arrivare a Pilsen/Plzeň prima di Pasqua. Il Deutsches Kulturforum östliches Europa, che recentemente mi ha nominata "cronista cittadina Pilsen 2015“, ha annunciato che avrei scritto i miei blog fin dall’inizio di aprile. E io li scrivo puntualmente. Solo non ancora da Pilsen/Plzeň, che dopo Pasqua diventerà per cinque mesi il mio domicilio, ma per il momento da Pergine Valsugana, mio domicilio abituale.
Škoda! Il festival internazionale di film documentari “Jeden svět/Un mondo“ sarà già terminato da un po’ quando arriverò a Pilsen/Plzeň, Capitale Europea della Cultura 2015. Veramente škoda perché quest’anno il filmfestival si è occupato della vita delle minoranze. Un tema che mi sta molto a cuore. Infatti a "minoranze ieri e oggi“ mi dedicherò durante il mio lavoro di "cronista cittadina“.
Nelle settimane e nei mesi che seguono vorrei incontrare dei Tedeschi che tuttora vivono a Pilsen/Plzeň e nelle vicinanze, vorrei parlare con Ebrei che dopo l’olocausto sono ritornati in città, vorrei incontrare dei Rom. Quest’ultimi, in Repubblica Ceca sono considerati la minoranza più difficile, più problematica. Infatti, gli "Altri“ incuriosiscono, ma mettono anche paura per l’incontro con l’ignoto.
Il film "Cesta ven“ del 2014, in cui il regista ceco Petr Václav parla di una coppia di giovani Rom che conduce – o meglio: vorrebbe condurre – una vita normale, ma si scontra da tutte le parti con pregiudizi ed emarginazione, ha ottenuto parecchi premi, in Repubblica Ceca come all’estero, i critici cinematografici lo hanno elogiato e incensato. Intellettuali e giornalisti impegnati si occupano delle ostilità nei confronti dei Rom. Ma nell’atteggiamento dei Cechi verso i Rom (e non solo dei Cechi: anche in Italia non tira un’aria diversa) non è cambiato niente. Vengono adorati e osannati quando si esibiscono come musicisti e artisti. Ma nella vita quotidiana rimangono dei "sporchi zingari“. Io ho il diritto di usare il termine di "zingaro“, altrimenti bandito dalla lingua italiana e sostituito eufemisticamente con "sinti“ e "rom“: da 30 anni sono la compagna di uno zingaro. Che è un noto artista. Olimpio Cari, un sinto italiano. E’ giunto alla pittura e all’arte in modo enigmatico e misterioso, dopo la visita, nella primavera del 1985, sulla tomba del pittore russo Marc Chagall appena morto.
Tutto questo, naturalmente, non c’entra con Pilsen/Plzeň. C’entra però con me. E dato che nei prossimi cinque mesi scriverò su questo sito i miei blog, ho voluto raccontare qualche cosa di me e della mia vita. E mostrare, qui sotto, alcune opere di Olimpio.

Castello mosaico, Foto Wolftraud de Concini

Carro di Tespi in montagna, Foto Matteo Lorenzi

Il fuoco, Foto Carla Festi

Drago, Foto Carla Festi


Conversione

 

Dal vino alla birra

E intanto io, appassionata bevitrice di vino, mi esercito nel bere birra. Intanto – cioè prima di partire per Pilsen/Plzeň 2015. Sarebbe certamente un’offesa nei confronti della Capitale Europea della Cultura 2015 se la “cronista cittadina Pilsen/Plzeň“, appena eletta tale dal Deutsches Kulturforum östliches Europa di Potsdam, si svelasse a Pilsen/Plzeň, conosciuta in tutto il mondo come “città della birra“, un’amante della bevanda di bacco.

Così, prima della mia partenza dal Trentino, mia seconda patria, per la Boemia, mia prima patria, mi esercito nel bere birra. E inoltre mi informo sulle varie varietà di birra, soprattutto naturalmente sul Pilsner Urquell, la Plzeňský Prazdroj, una birra a bassa fermentazione che ha portato il nome di Pilsen/Plzeň in tutto il mondo. Però l’appellativo di “Pilsen, città della birra“ dà un’immagine troppo riduttiva di questa città della Boemia occidentale. Perché Pilsen/Plzeň, Capitale Europea della Cultura 2015, è più della sua birra.

Raccolgo notizie sulle minoranze – Tedeschi, Ebrei, Rom – che vivevano e/o vivono tuttora a Pilsen/Plzeň, sui villaggi abbandonati nel 1945 dopo l’espulsione della popolazione tedesca e ora in parte spariti, sugli arredamenti interni di abitazioni progettati dall’architetto Adolf Loos (1870–1933) a Pilsen/Plzeň, città natale della terza moglie Claire Beck/Klará Becková. Mi informo sul “Nové divadlo”, il “Nuovo Teatro”, aperto pochi mesi fa e notevole per la sua originale architettura, che darà nuovo impulso alla già vivace vita teatrale della città, su Jiří Trnka (1912–1969), l’indimenticabile creatore di film di animazione a cui Pilsen/Plzeň, sua città natale, dedica una grande mostra.

Ora mi accorgo che ho dimenticato di presentarmi. Sono nata nel 1940 come Wolftraud Schreiber a Trautenau/Trutnov, cittadina della Boemia nordorientale, ed espulsa l’8 giugno 1945 dalla mia patria boema. Ho poi vissuto in un paesino della Bassa Sassonia (Germania), a Monaco di Baviera e a Roma, ho lavorato come giornalista presso un giornale di Norimberga, per trasferirmi nel 1964 in Italia, per l’esattezza nel Trentino. Sulle montagne della Valsugana che mi circondano oggi, mio padre ha combattuto, durante la Prima Guerra Mondiale, come soldato austroungarico. E io ritorno ora nella mia patria boema. Così si chiude un cerchio.

A Pilsen/Plzeň abiterò in una casetta nella Sady 5. května. Il nome della via ricorda il 5 maggio 1945 quando le truppe americane liberarono Pilsen/Plzeň dall’occupazione tedesca. Un mese prima della mia espulsione dalla Boemia.

A Pilsen/Plzeň mi guarderò attorno, parlerò con la gente, scriverò delle tante, importanti manifestazioni culturali che daranno alla città nuovo lustro e nuova fama. Ma scriverò anche di incontri quotidiani, forse con una contadina che vende il suo formaggio di capra al mercato sulla grande, grandissima piazza Náměstí Republiky, con l’oste di una birreria che mi servirà una birra appena spillata e spumeggiante. E allora “Na zdraví!”

E questa sono io: un doppio ritratto, io con me stessa in braccio. Io oggi in Italia e io 73 anni fa in Boemia, una bambina ritrosa di due anni in una fotografia dell'estate 1942