venerdì 5 giugno 2015

Adolf Loos, diversamente

Interni di Loos a Pilsen/Plzeň, visti da fuori 
La porta d'ingresso della casa no. 19 nella Klatovská

Erano tutte imparentate tra di loro, erano amici o soci in affari le famiglie ebree benestanti di Pilsen/Plzeň che si fecere progettare da Adolf Loos gli interni delle loro abitazioni. Nel 1907, Martha e Wilhelm Hirsch erano stati i primi a rivolgersi all'architetto austriaco (più tardi ceco), allora poco conosciuto, per l'impostazione e l'arredamento delloro appartemento nell'odierna via Plachého. 20 anni più tardi, quando Loos era ormai giunto all'apice della sua carriera, le famiglie facoltose della città facevano a gara per ingaggiarlo. Agli Hirsch si aggiunsero i Brummel, Eisner, Kraus, Liebstein, Naschauer, Vogel e  Weiner. E naturalmente i Beck la cui figlia Klara divenne nel 1929 la terza moglie di Adolf Loos.


La casa no. 6 nella Plachého: la facciata (in alto) e un dettaglio (in basso)

Gli interni progettati da Adolf Loos sono uno dei punti di forza nei programmi della capitale europea della cultura che sta facendo una vivace campagna pubblicitaria per la visita di queste abitazioni, in parte ancora conservate, in parte rinnovate o ricostruite. Forse la città si vanterebbe un po' meno di queste progettazioni se avesse saputo in anticipo della pubblicazione, avvenuta pochissime settimane fa, degli atti di un processo contro Loos: nel 1928, infatti, l'architetto fu denunciato per atti osceni compiuti su ragazzine dagli otto ai dieci anni, ma fu anche prosciolto dall'accusa per mancanza di elementi certi di prova. Nel maggio di quest'anno l'Archivio della città di Vienna ha messo gli atti di processo on-line. E così, leggendo le imputazioni, ognuno deve decidere per sé se considerare Adolf Loos un geniale architetto avanguardista oppure un delinquente pedofilo. Ma si possono distinguere l'uno dell'altro? Oppure no?
Dal mio arrivo a Pilsen/Plzeň sono stata sempre molto occupata: dovevo scrivere i testi per questo mio blog, fare delle fotografie e bere tanti caffè. E così non ho ancora trovato il tempo per andare a vedere le abitazioni. Ho voluto però fare ugualmente un viaggio alla scoperta di Loos, seppure in un modo diverso: fotografando le facciate delle case dietro alle quali si celano o si celavano gli interni progettati dall'architetto austriaco-ceco.  

I risultati di questo mio girare per la città sono le fotografie pubblicate qui. Con una premessa però. Normalmente, prima di entrare in una casa, se ne osserva la facciata per cogliere le prime impressioni e farsi un'idea sia degli arredamenti delle abitazioni sia dei loro abitanti. Nel caso degli interni progettati di Adolf Loos saremo sicuramente tratti in inganno. Le facciate e gli interni sembrano aver niente a che fare le une con gli altri. Infatti non era nelle intenzioni di Adolf Loos che facciata e abitazione coincidessero. E non era neppure nelle intenzioni dei suoi committenti. Che, forse, volevano nascondersi dietro a delle facciate semplici, se non addirittura banali per non mettere subito in mostra la loro agiatezza. Fatto certamente non singolare per degli Ebrei, da sempre esposti al giudizio e alla disapprovazione dei non-ebrei. 

Parlerò più avanti, in altri testi, del destino di alcune delle famiglie i committenti, soprattutto naturalmente della famiglia di Klara (Claire) Beck Loos, la terza moglie di Adolf. Sono quasi tutte storie tragiche che finiscono ad Auschwitz o a Theresienstadt o a Riga. Qui, in certo qual modo come introduzione, alcune fotografie. Con l'indicazione dell'attuale indirizzo, non dei nomi dei committenti o degli abitanti che spesso sono cambiati. E' un repertorio che rende anche l'idea dell'architettura ricca e multiforme nella Pilsen/Plzeň dell'inizio Novecento.



La casa no. 10 nella Bendova: due dettagli della facciata
 
La casa no. 20 nella Husova
La casa no. 58 nella Husova
La casa no. 12 nella Klatovská. La famiglia di Otto Beck, i suoceri di Adolf Loos, abitavano il secondo piano dell'edificio. Quando i Friedler, proprietari del palazzo, lo disdettero, gli Beck traslocarono nella casa "doppia" in Náměstí Míru (vedi sotto), pure al secondo piano, e vi trasferirono anche l'rredamento. 
La casa no. 19 nella Klatovská

 
La casa no. 22 nella Klatovská, dettaglio della facciata

La casa no. 110 nella Klatovská
La casa no. 140 nella Klatovská
Náměstí Míru no. 2 e 3: i due palazzi identici, costruiti l'uno attaccato all'altro, si distinguono solo nel colore della facciata
 
Dettagli di facciata nei palazzi del Náměstí Míru

3 commenti:

Manuela ha detto...

Sembra un gioco delle apparenze che celano realtà problematiche e ambigue insieme a un futuro di sofferenza. L'architetto dal dubbio profilo morale, i ricchi ebrei nascosti dalla semplicità esteriore delle loro case, silenzi e complicità. Quanta storia in quelle pietre!

Wolftraud de Concini ha detto...

Grazie, Manuela. Che bella interpretazione!

Manuela ha detto...

Trovo che tu sia una straordinaria lettrice dei fatti e delle presenze urbane: dovrebbero ingaggiarti anche in Trentino dove non sempre le pietre hanno voce e dove le tracce del passato tacciono enigmatiche e senza interpreti.

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